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Di Pietro: “Gioco, consolidata funzione socializzante”

15 febbraio 2014 - 08:47

Il gioco come veicolo per creare ex novo, o sviluppare, rapporti amorosi o comunque d’amicizia. Ma anche come una forma di intrattenimento alla quale ci si può affezionare. In maniera sana, senza dunque rischiare di cadere in quelle forme di dipendenza che sono gli stessi operatori a cercare di combattere.

Scritto da Anna Maria Rengo
Di Pietro: “Gioco, consolidata funzione socializzante”

Di tutto questo parliamo con Antonio Di Pietro, pedagogista ludico, referente nazionale del ‘LudoCemea - Gruppo di ricerca e azione dei Cemea italiani’ e collaboratore della Scuola di Studi Umanistici e della Formazione dell'Università di Firenze.

 

Ritiene che il gioco, anche quello con vincita in denaro, possa avere una funzione socializzante e favorevole magari anche allo sbocciare di rapporti amorosi?

“Che il gioco abbia una funzione socializzante è riconosciuto in tutta la letteratura psico-pedagogica. Di conseguenza può far sbocciare amori, può creare situazioni protette dove tentare dei primi approcci, può diventare un modo che asseconda il corteggiamento. Ovidio ne ‘L'arte di amare’ più volte collega il gioco all'amore. Piuttosto dobbiamo chiederci quale possa essere la soglia che ci porta a dire se le persone stiano o meno giocando quando in palio c'è del denaro”.

Ci sono dei giochi particolarmente socializzanti, con particolare riferimento a quelli che prevedono puntate e vincite in denaro?

“La socializzazione c'è fin quando si giocano cifre simboliche. Più il denaro entra nel gioco e maggiore sarà inquinata la profondità della socializzazione. Più soldi girano in un gioco e più un gioco non può essere considerato come tale. I massimi studiosi del gioco convengono sul fatto che un gioco per essere definito tale, non deve avere un fine: deve essere gratuito”.

Tra i progetti che sta portando avanti c’è Ludosofia - Incontri per sperimentare giochi che avvicinano le persone a questioni filosofiche. Ce lo spiega più diffusamente, specie con riferimento a quelli che coinvolgono gli adulti?

“La ludosofia è una metodologia per giocare e pensare. Ossia, fare giochi che racchiudono dei frammenti della commedia umana e attivare riflessioni intorno ai temi della vita. Ci sono giochi dove una riflessione può sorgere spontanea intorno al potere, alla morale, al tempo, alla morte... Sempre più oggi è importante educare a pensare... con la propria testa. A proposito del gioco d'azzardo, ad esempio è interessante riflettere sul ‘caso’ e sulla ‘fortuna’ dopo una sequenza di giochi con i dadi... senza soldi”.

Che cosa ne pensa dei vari movimenti e prese di posizione che chiedono di limitare fortemente, se non abolire il gioco?

“Penso che innanzitutto si debba stare attenti a non generalizzare l'utilizzo del termine ‘gioco’. Il gioco con vincite in denaro va chiamato sempre ‘gioco d'azzardo’ (si veda: www.miazzardoadirlo.it). Non a caso la relativa patologia si chiama ‘gioco d'azzardo patologico’. Eviterei di chiamarla ‘ludopatia’, poiché questo termine rimanda il disturbo del comportamento al ‘ludico’ quando invece il focus deve andare sul rischiare di perdere i soldi.

Nella storia più volte è stato proibito il gioco d'azzardo, ma possiamo oggi constatare che il proibizionismo non ha portato dei buoni frutti. Occorre un impegno politico, così come educativo. Puntare alla consapevolezza dei cittadini di fronte ai rischi del gioco d'azzardo. Soprattutto in questo periodo di crisi dove aumenta il bisogno di provare sensazioni forti e le persone tendono ad affidare alla fortuna il proprio riscatto sociale”.

Secondo lei il gioco ‘sano’, anche quando prevede l’utilizzo di denaro, è possibile e auspicabile?

“Certo che è possibile. Il problema sorge quando si perde di vista la dimensione ludica e domina quella relativa al rischiare dei beni. Quindi, la scommessa in soldi dovrebbe essere molto contenuta. Altrimenti, si fa un qualcosa che non c'entra niente con il giocare. Ciò che spinge una persona verso il gioco d'azzardo è la ricerca della forte emozione che scaturisce dal rischiare di perdere il denaro, piuttosto che vincerlo”.

Quali sono le funzioni che il gioco può avere?

“Ci sono giochi interessanti e quelli che lo sono meno dal punto di vista della crescita di una persona. I meno interessanti sono quei giochi che alimentano gli eccessi del nostro tempo: individualismo, competizione, profitto. I giochi interessanti sono soprattutto quelli che ti offrono un'occasione per vivere esperienze che allargano le vedute rispetto ai clichè del nostro tempo”.

Come mai ad alcuni giochi ci si affeziona più che ad altri? Quali sono i meccanismi che scattano?

“Ogni persona ha il desiderio di sentirsi capace. Quindi, spesso piacciono i giochi dove emergono aspetti che a un giocatore piace esternare. A volte piace giocare a giochi in cui non è semplice affermarsi. Ma in tal caso al giocatore interessa sfidare se stesso verso una direzione che, per qualche motivo, è considerata interessante”.

Potrebbe darci qualche indicazione perché il gioco, anche con vincita in denaro, resti sempre e principalmente un divertimento, e si evitino tutti i possibili rischi collaterali?

“Il motivo del giocare è fine a se stesso: si gioca per il gusto di giocare. Se nel gioco ci sono vincite simboliche, o comunque molto contenute, il gioco resta un gioco. Ma quando il denaro prende il sopravvento scatta il ‘gioco d'azzardo’”.

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