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Carboni: "Sul gioco patologico dati distorti e strumentalizzati, vi spiego perché"

27 marzo 2014 - 10:11

Qual è la situazione del gioco problematico e patologico in Italia? Secondo il Dipartimento per le Politiche Antidroga la dimensione del fenomeno è difficilmente quantificabile in quanto, ad oggi, non esistono studi accreditati, esaustivi e validamente rappresentativi del fenomeno.

Scritto da Ca
Carboni: "Sul gioco patologico dati distorti e strumentalizzati, vi spiego perché"

Io aggiungo che le ricerche disponibili sono usate male, anche ad arte, dal punto di vista della corretta informazione all’opinione pubblica, e che di esagera la dimensione e criticità del fenomeno.". E' l'analisi di Giovanni Carboni, consulente ed esperto del settore del gambling, che ha approfondito nel blog del sito dell’European Gambling Lawyers and Advisors (www.egla.eu) la situazione delle indagini epidemiologiche italiane sul gioco d'azzardo. Un tema discusso e che fa discutere il settore da tempo, vista la difficoltà di ottenere dati certi e univoci su un fenomeno che passa spesso sotto le lenti distorte di analisi spesso approssimative.

 

Ma come funzionano le indagini epidemiologiche? "La comunità medico-scientifica afferma che la condizione di giocatore patologico, riconosciuta come malattia, può essere determinata soltanto da parte di uno psichiatra attraverso un colloquio clinico con il paziente, ed è diagnosticata quando sono accertati almeno 5 tra i 10 comportamenti e conseguenze indicati dal manuale di psichiatria DSM-IV. Il metodo DSM-IV è anche adottato come questionario nelle indagini epidemiologiche per la misura della prevalenza di comportamenti di gioco a rischio. Viene definito come problematico” il comportamento dei soggetti che rispondono positivamente ad almeno 3 domande su 10. La British Gambling Prevalence Survey del 2010 misura in tal modo un tasso di gioco problematico dello 0,9% in Gran Bretagna. Il tasso di soggetti che hanno risposto positivamente a 5 domande o più dello DSM-IV è invece pari a 0,4%. Questa circostanza è istruttiva. Anche se lo 0,4% non costituisce una misura del tasso di giocatori patologici, consente di presumere in via indicativa che i giocatori patologici sono meno della metà dei giocatori problematici. La Survey britannica adotta anche il metodo CPGI Canadian Prevalence Gambling Index, progettato apposta per le indagini epidemiologiche, con il quale ottiene un tasso di prevalenza del gioco problematico pari allo 0,7%".
 
Metodologie molto tecniche che sembrano richiedere un grande impegno per le istituzioni che dovrebbero studiare e prevenire il fenomeno, una grande attenzione nella comunicazione dei risultati affinché essi siano correttamente compresi dall’opinione pubblica, e anche accortezza da parte del lettore nel distinguere le opinioni dai fatti e nel riconoscere le possibili manipolazioni. E in Italia come funziona? "Le indagini italiane con valore istituzionale di cui disponiamo sono le IPSAD, condotte dal CNR, che misurano le dipendenze su un campione della popolazione con età compresa tra 15 e 64 anni. Per il gioco è adottato il metodo CPGI. Questo metodo classifica secondo 4 gradi di rischio, assenza di rischio, rischio minimo, rischio moderato e rischio problematico. La relazione della ricerca IPSAD 2007–2008 riporta testualmente: “Assenza di rischio: 80%, rischio minimo 14%, rischio moderato 5%, gioco patologico 1%. Ma la categoria a rischio più elevato del metodo CPGI è quella del “gioco problematico. È evidente che 1% (o meglio 0,8%, come indicato in altri comunicati) non è il tasso di giocatori patologici ma il tasso di giocatori problematici, che è una bella differenza".
Una bella differenza davvero: solo l'1% sarebbero giocatori problematici secondo le indagini istituzionali. Ci sono altri dati? "Certo, disponiamo anche di dati più recenti resi disponibili solo ora, ma con scarsa pubblicità. Il 14 febbraio 2014 il CNR ha pubblicato un breve comunicato che illustra i risultati dell’’indagine ISPAD 2010–2011. Riguardo al gioco il comunicato si esprime così: “A creare una vera e propria emergenza socio-sanitaria, infine, il gioco d’azzardo. In Italia, quasi la metà (47%) della popolazione tra 15 e 64 anni, circa 19 milioni di persone, nel 2011, ha giocato almeno una volta: circa 2 milioni (11%) sono classificabili a basso rischio, 800.000 (4,3%) a rischio moderato e 250.000 a rischio problematico. Questa volta il CNR usa l’aggettivo giusto: problematico, non patologico".

 
C'è qualcosa che non quadra per Giovanni Carboni nel modo con cui i risultati delle indagini sono comunicati al pubblico: "Io questi dati li commento in modo assai diverso dal CNR. Se il numero dei giocatori a rischio problematico è pari a circa 250.000, vuol dire che il tasso rispetto alla popolazione di giocatori e non giocatori nel 2010-2011 è pari a 0,63% (riportare i tassi vs la popolazione dei soli giocatori è una manipolazione) minore del dato di 0,8% misurato nel 2007–2008. Nonostante l’aumento dei volumi di gioco il tasso di gioco problematico in Italia è in calo. Il dato è simile, addirittura minore, di quello della Gran Bretagna. Se i giocatori problematici sono 250.000 i giocatori patologici sono meno della metà, grosso modo 100.000, molte volte di meno del dato di 800.000 che viene spesso dichiarato. Anche in questo caso la verità è oggetto di una manipolazione. Per denunciare una situazione di rischio eccezionale è utilizzato il dato dei giocatori “a rischio moderato” misurato dall’indagine ISPAD del 2007-2009, che tra l’altro non pare cambiato nel 2010-2011, spacciando così per malati giocatori che non lo sono affatto e che magari sarebbero infuriati ad essere considerati tali".

Ma la dipendenza resta un problema serio: "Ovvio ma pare sia stata prodotta un’amplificazione mostruosa delle dimensioni reali del fenomeno. I dati epidemiologici mostrano una situazione assai meno grave di quella finora raccontata alla politica e all’opinione pubblica", conclude Carboni.

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