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Gioco sano, Capitanucci: 'Divieto, cura e formazione sono complementari'

20 agosto 2016 - 09:11

Daniela Capitanucci, presidente onorario di And, evidenzia la necessità di un approccio integrato per promuovere il gioco responsabile.

Scritto da Anna Maria Rengo
Gioco sano, Capitanucci: 'Divieto, cura e formazione sono complementari'

Gli operatori sociali che da anni sono in campo per la prevenzione e cura del gioco patologico, oltre che per la promozione di quello responsabile, hanno una visione onnicomprensiva degli strumenti che si devono e possono implementare per raggiungere questi obiettivi.

Lo sottolinea Daniela Capitanucci, socio fondatore e presidente onorario di And-Azzardo e Nuove Dipendenze: “Divieti, cura e formazione sono solo alcuni degli strumenti di gestione del fenomeno gioco d’azzardo: non sono antitetici l’uno con l’altro. Piuttosto, essi sono complementari e finalizzati a raggiungere il medesimo obiettivo: che il gioco d’azzardo non generi situazioni problematiche per gli individui e per la collettività”. Secondo Capitanucci, “lo Stato dovrà legiferare tenendo conto di questo obiettivo, i clinici dovranno essere in grado di offrire assistenza competente a chi sviluppa patologia e ai loro familiari, e dovranno avere risorse e formazione adeguata per farlo, l’industria dovrà uniformarsi alle norme vigenti, probabilmente rinunciando a parte dell’incasso”.

La presidente And evidenzia come, a suo modo di vedere, non ci sia sufficiente attenzione da parte di politica, concessionari e associazioni nei confronti di questo tema. “Fino a quando la politica nazionale non uscirà da quel conflitto di interessi pluriennale in cui è immersa da tempo e non assumerà realmente il ruolo di 'regolatore' nell’ottica sopra descritta, giungendo finalmente a porre al primo posto – su tutti gli altri - l’obiettivo di ridurre l’impatto nocivo del gioco d’azzardo nel territorio, il panorama nel nostro Paese rimarrà caotico e conflittuale; la diffusione delle situazioni patologiche e di tutti i danni collaterali da esse derivanti purtroppo potranno persino aggravarsi, indebolendo l’economia del paese invece di rafforzarla: infatti, favorire l’indebitamento delle famiglie, che è un effetto collaterale del gioco d’azzardo incontrollato, difficilmente potrà produrre ricchezza. In particolare, lo Stato dovrebbe svincolarsi dalla sua dipendenza dai proventi dell’azzardo, riorientando le politiche economiche verso attività che rimettano davvero in moto il Paese, ossia ponendosi l’obiettivo di trovare altrove quei 9 miliardi di euro annui che oggi arrivano dall’industria del gioco d’azzardo. Viceversa, se manterrà invariata la rotta, lo Stato continuerà a trovarsi in un vicolo cieco”.
Quanto alle leggi che a livello regionale hanno limitato il gioco legale”non credo proprio che esse abbiano incentivato il gioco illegale. È noto infatti che gioco legale e gioco illegale siano contigui e che il primo alimenti il secondo. Nel 2010 anche la Commissione Parlamentare Antimafia lo documentò in un dettagliato rapporto. 

 

Ricordiamo che tutti i nostri pazienti sono 'malati di gioco legale'. E ricordiamo anche che prima della liberalizzazione dell’azzardo nel nostro Paese (quando i giochi d’azzardo erano solo Lotto, Lotterie, Totocalcio, scommesse sull’ippica e i 4 Casinò) i giocatori patologici rappresentavano una quota così irrilevante di cittadini, tale da non essere neppure intercettata dai servizi sociali e sanitari, e tanto meno da suscitare allarme.
Con il dilagare dell’offerta di gioco legale si sono accostate all’azzardo persone che mai avrebbero giocato clandestinamente, ma che invece hanno cominciato a giocare alla grande legalmente: casalinghe, rappresentanti di commercio, operai, professionisti, pensionati, studenti... questi sono i nostri pazienti di oggi. È tutto l’impianto dell’offerta che va ripensato, perchè quello sin qui adottato, a giudicare dai risultati, ha fallito. Il gioco legale, non è stato affatto 'gioco sicuro', quanto meno sul piano della salute, e forse non solo. Un esempio ulteriore di ciò è rappresentato dalla politica locale: se da un lato essa si è più concretamente orientata nell’ottica del paradigma di 'gioco responsabile” descritto in precedenza, dall’altro lato invece soffre perchè costantemente delegittimata dalla politica di Roma, il che non è certo di aiuto ad imboccare una linea coerente e ad affrontare un sistema tanto complesso”.
La prevenzione e cura del giocatore, da parte degli operatori privati, è oggi una missione o può anche essere un'attività redditizia? C'è effettiva necessità di trattamenti di tipo residenziale?
“I trattamenti residenziali possono essere di aiuto quando la compulsione è molto marcata: in un contesto ambientale pieno di tentazioni come il nostro, rimanere astinenti per chi ha perso il controllo è difficile. L’inesistenza di barriere di accesso ai luoghi dove i giochi vengono offerti è un fattore di estrema vulnerabilità per le persone che manifestano un disturbo da gioco d’azzardo e che pure magari sono motivate a riabilitarsi. Provate voi a fare una dieta vivendo dentro ad una pasticceria.... Ci vuole molta forza di volontà. Ma è in primis proprio la capacità di volere che si perde laddove si sia sviluppato un disturbo con il gioco d’azzardo. Quindi... Per quel che riguarda la prima parte della domanda, occuparsi di azzardo poteva essere una 'missione' quando i pazienti e le loro famiglie erano pochi; e sino alla metà degli anni 2000 certamente lo è stato per i pionieri che a quell’epoca cominciarono ad interessarsi al tema. Oggi, non solo non basterebbe il tempo per accogliere un tale flusso di domande esclusivamente attraverso il volontariato, ma neppure sarebbero più sufficienti le sole competenze di ascolto non professionale. Le famiglie e i giocatori arrivano spesso con situazioni molto complesse, importanti indebitamenti, situazioni in cui l’equilibrio psichico e relazionale è stato fortemente compromesso, con devastazioni che è difficile immaginare. È richiesto dunque un altissimo livello di specializzazione specifica sulla patologia per trattare in modo adeguato queste situazioni, che prevedono anche l’integrazione di operatori esperti molto diversi tra loro, per formulare piani di cura adeguati: psicologi, assistenti sociali, psichiatri, educatori professionali, ma anche avvocati, giudici tutelari, e diverse altre figure utili al percorso di presa in carico. Ma si sa: la competenza si paga. Ciò vale in ogni settore, ed anche in campo sanitario, non solo per quel che riguarda il gioco d’azzardo.  Perchè mai la prevenzione specializzata e la cura competente ad opera di professionisti formati dovrebbero essere 'pro bono'? Se non fossi consapevole del dramma che si cela dietro all’assenza di terapia, ironizzando direi che è stata proprio l’industria del gambling a produrre posti di lavoro; ma non tanto nella sua filiera (dove tale effetto parrebbe essere stato piuttosto limitato), bensì tra coloro che nel territorio hanno dovuto cominciare ad occuparsi di 'riciclare' i propri 'rifiuti': e cioè, proprio quegli operatori socio-sanitari e legali che devono occuparsi della riabilitazione delle persone che hanno perso il controllo e delle loro famiglie.  Peccato però che oggi – ad eccezione di quei territori dove sono presenti i servizi 'storici' –  solo chi potrà permettersi di pagare le cure avrà la possibilità di scegliere il meglio. E saranno una minoranza. Chi invece non potrà pagare di tasca sua l’eccellenza, perchè già 'spolpato', o perchè ormai indigente, o perchè appartenente alla classe media ma senza più fondi cui attingere, potrà contare solo su quel che lo Stato attraverso il suo Sistema Sanitario (con Servizi in palese difficoltà, dove non sempre l’esperienza degli addetti è sufficiente, dove i modelli di presa in carico sono traslati tout court dalle dipendenze da sostanze senza offerte ad hoc, e ancora neppure garantiti in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale) gli metterà a disposizione. Questi pazienti, che sono la maggioranza, va detto che ormai non sono più 'redditizi' per nessuno: nè per l’industria del gioco d’azzardo (che da loro ha già preso tutto il prendibile), nè tanto meno per gli operatori privati della cura (che sono arrivati troppo tardi, ormai quando non c’era più nulla da prendere). Come dissero Nanni e Vecchiato già nel 2004 parlando di azzardo, esclusione sociale e cittadinanza incompiuta, queste persone sono diventate ormai dei vuoti a perdere”.

 

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