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La linea d'ombra del gioco pubblico

11 novembre 2013 - 11:47

La pronuncia del Tribunale amministrativo di Milano sulla regolamentazione dell'offerta di gioco sul territorio impone una riflessione. Anzi, due. La prima, da parte degli addetti ai lavori, i quali potranno scegliere se chiedere i danni all'amministrazione Pisapia - colpevole, secondo il Tar, di avere limitato illegittimamente un'attività economica, arrecando palese danno alle imprese del gioco e agli esercenti - oppure, al contrario, di accontentarsi della vittoria giuridica e della riaffermazione di un principio fondante del gioco pubblico, come la libertà di impresa, unita alla riserva statale del gioco. Sull'altro fronte, la riflessione da fare riguarda gli enti locali e i loro amministratori, e non soltanto quelli milanesi. Sì, perché la lezione politica inflitta dai giudici del Tar Lombardia  al Comune di Milano, suona come un campanello di allarme per i diversi territori, visto che le restrizioni previste dal primo cittadino milanese non rappresentano certo un caso isolato in Italia e non si tratta delle più pesanti tra quelle applicate nei vari territori. Basti pensare a Genova, per esempio, e al limite di esercizio del gioco pubblico dopo le 19.30, per capire quanto sia stata limitata, nel capoluogo ligure, l'attività economica degli operatori, e per intuire, di conseguenza, l'effetto di un'applicazione in loco di una pronuncia analoga a quella del Tar lombardo, dopo lo scontro frontale tra operatori e amministrazione locale dei giorni scorsi.

Scritto da Alessio Crisantemi
La linea d'ombra del gioco pubblico


Del resto, i giudici milanesi, non hanno fatto altro che richiamare all'applicazione di criteri di proporzionalità e ragionevolezza nella stesura delle norme locali. O, in altri termini, al ricorso al buonsenso politico nell'affrontare la materia gioco, al pari delle altre. Niente di più semplice, in teoria. Come del resto aveva spiegato a Gioco News l'avvocato tributarista Asa Peronace, nell'intervista pubblicata sul numero di novembre della rivista, sostenendo come “le norme locali hanno un senso se vanno nella direzione di un contrasto alla ludopatia; ma quelle approvate non si curano dell'aspetto sanitario del fenomeno, sono norme 'politiche', che vogliono sanzionare i concessionari, i bar, le tabaccherie, ma che sono in palese contrasto con leggi comunitarie per le quali il gioco è un servizio, e come tale deve essere rispettato e sicuramente non penalizzato". Mettendo in evidenza, peraltro, che oltre all'illegittimità dal punto di vista nazionale di tali restrizioni, sorgerebbe anche un conflitto rispetto alla dottrina dell'Ue.
Per questo è arrivato il momento di fermarsi e provare anche a guardare avanti (oltre che indietro, magari riscrivendo qualche provvedimento maldestro), e a come poter affrontare, seriamente, il tema del gioco pubblico e della sua convivenza con i territori. Visto che, si badi bene, nel suo 'richiamo alla realtà', il Tar di Milano ha precisato che la disciplina degli orari di apertura dei locali, e più in generale il tema della pubblica sicurezza, sia comunque una competenza diretta delle amministrazioni comunali (e ci mancherebbe altro, aggiungiamo noi), ma spiegando che un intervento su questo fronte non può prescindere dalla concertazione con le associazioni di categoria. Come in qualunque altro settore 'normale' che costituisce il comparto economico nazionale. E solo quando riusciremo a capire che il settore del gioco rappresenta un'industria come le altre, diversa semmai per le ulteriori implicazioni che essa comporta, ma non certo inferiore sotto nessun altro aspetto, saremo in grado di affrontare seriamente la materia. Per dare vita davvero a una nuova fase del gioco pubblico. Iniziando a ragionare, a quel punto, come un paese maturo e, di conseguenza, credibile. Agli occhi dei cittadini, prima ancora di quelli dei mercati internazionali.

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