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La ricerca di una normalità

20 gennaio 2014 - 08:21

Diventare un settore normale. E’ questo il vero obiettivo perseguibile per l’industria del gioco pubblico. Per quella presunta lobby insaziabile raccontata, da qualche tempo, da giornali e televisioni, a cui viene attribuita una potenza immensa, salvo poi trovarsi, anno dopo anno, con tasse vieppiù elevate, fino al limite della sostenibilità. Ma questo il cittadino non lo vede, e mentre sente parlare di truffe e di inganni, continua comunque, imperterrito, a giocare. Paradosso della società moderna, ma tant’è. E non è certo questo l’unico aspetto insolito o, appunto, “anormale”. Perché quando si parla di gioco – e ormai accade quotidianamente – tutto sembra essere finito ben lontano dall’alveo della normalità.

Scritto da Alessio Crisantemi
La ricerca di una normalità


Non è normale che lo Stato abbia permesso al gioco di dilagare in maniera eccessiva (e apparente fuori controllo) consentendo che in una strada di poche centinaia di metri vi siano otto sale Vlt. Come non è normale che oggi, in ogni sede e ad ogni ora, si parli di gioco patologico senza essere ancora in possesso di un dato (certo) sul fenomeno dal punto di vista (almeno) epidemiologico: perché in qualunque altro paese civile si sarebbe partiti proprio da lì, e senza dubbio, anche molto prima. Non è normale, per giunta, che i politici che chiedono di abolire il gioco propongano, a volte anche contemporaneamente, si aumentare le tasse o di crearne nuove per questo tipo di attività. Ma non è neppure normale che i sindaci siano stati esautorati dalla facoltà di decidere le aperture di sale sul loro territorio, al solo scopo (e si guardino, su questo, i lavori parlamentari del 2009, quando il governo Berlusconi quater emanava il Decreto Abruzzo) di imporre sul mercato ben 57mila videolottery, e al prezzo, per i concessionari, di 15mila euro cadauna. Non è neanche normale, infine, che le amministrazioni locali mettano al centro della propria agenda il gioco e i presunti drammi sociali che ne deriverebbero, mentre tutto intorno continuano a chiudere imprese e attività commerciali, la disoccupazione dilaga, e intere città sono spazzate via da grandi o piccole calamità, perché la messa in sicurezza del territorio non è stata affrontata seriamente. O non considerata una priorità. Finendo, magari, in fondo a quelle stesse agende politiche, scavalcata, in qualche caso, proprio dalla ”emergenza” del gioco pubblico.

 

Tutto questo non è normale, ecco. Ed è giunto il momento di fermare questo vortice impazzito di accuse e menzogne, di populismo e demagogia, di attacchi meschini e difese improbabili, affrontando la materia in maniera concreta e con serenità. Dimenticando le soluzioni facili e costruendo un comparto sostenibile. Perché questo è possibile. E non si tratta di fantascienza né di dover immaginare un sistema dal nulla, perché basta guardarsi attorno per scoprire che in altri paesi il gioco è una realtà consolidata e che è in grado di convivere in maniera sana con la gente e la politica, e non solo con l’erario e l’economia. Ma facciamolo e facciamolo ora. La delega fiscale è la vera opportunità. Il Parlamento prima, e governo poi, non sprechino anche questa.

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