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L’unica soluzione è nei territori

27 gennaio 2014 - 08:30

È arrivato il momento della verità per il gioco pubblico. Mentre in Parlamento diventa sempre più lunga la lista dei detrattori, pronti a screditare l’immagine del settore chiedendo allo Stato di rinunciare a questa attività, si vanno moltiplicando, con lo stesso dinamismo, le richieste di fondi che dovrebbero provenire proprio dal temutissimo gioco (depositate peraltro nei contesti più vari). Nel frattempo, però, il settore rischia di andare a rotoli, con gli sforzi compiuti dalle aziende che diventano ogni giorno più duri.

Scritto da Alessio Crisantemi
L’unica soluzione è nei territori

 

Dovendo fare i conti non solo con la crisi ma con le amministrazioni locali, per giunta, dove si sta combattendo una vera battaglia contro il settore, chiedendone l’abolizione. Eppure la soluzione al rebus del gioco pubblico passerebbe proprio per i territori. E non sarebbe neppure nuova, se non fosse rimasta a impolverarsi in qualche cassetto di via Venti Settembre, a causa delle solite esigenze di cassa.

 

L’idea (e, appunto, la soluzione) è semplice, anche nell’applicazione: coinvolgere i territori nel processo di organizzazione del gioco pubblico (e, in particolare, nelle attività di controllo e contrasto all’illegalità), destinando una parte dei proventi alle amministrazioni locali. Per una perfetta applicazione del tanto sbandierato federalismo fiscale, al quale anche l’ultimo governo Berlusconi, in cui sedeva pure la Lega, ha voluto rinunciare. Sì, perché, già qualche anno fa si percepivano i primi disagi sui territori e la prevaricazione compiuta dal Legislatore con l’imposizione delle Vlt (le cui sale, come tutti sanno, non prevedono l’intervento dei sindaci per disporre una nuova apertura), si rivelò la goccia di troppo in un vaso già colmo. Ma l’esecutivo disse di no a una riforma di questo tipo, seppure in linea con le millantate politiche federaliste, spiegando di non potersi privare neppure di un centesimo dalle casse generali.

E l’ipotesi non è stata neppure valutata dal governo Monti, nonostante i tanti proclami e una serie di provvedimenti in materia di gioco. Ora però è il momento di attuare quella che appare, ormai, l’unica soluzione possibile, per rendere il gioco davvero sostenibile. La Delega fiscale è la vera occasione, lo abbiamo detto più volte, e il premier Letta, annunciando un piano di azione sul gioco, ha aperto la strada alla più importante delle riforme. I presupposti, di fatto, ci sono tutti, con il Governo che, oltre a sistemare la questione dei giochi, deve rispondere in maniera concreta alle pressioni dei Comuni, alla canna del gas dopo la scomparsa dell’Ici prima, e dell’Imu poi. E quei soldi che servono per rimettere in sesto le amministrazioni potrebbero arrivare proprio dai giochi. Magari pure dalle tanto odiate slot machine che in tanti posti vorrebbero togliere dai locali (del resto, qualcuno dovrà pur spiegare a questi amministratori che esiste una Costituzione).

Tanto basterebbe per rimettere in sesto il comparto, e per rispondere alle richieste dei sindaci che devono oggi attivare le Asl per la prevenzione e la cura delle dipendenze da gioco senza vedersi arrivare un centesimo. Del resto, situazioni analoghe si hanno anche in altri Paesi. Oltre a quelli di stampo federalista, come la Spagna o la Germania, anche in Regno Unito le regole dettate dalla Gambling Commission sulla distribuzione degli apparecchi sono declinate sui territori dalle amministrazioni locali. Per un mercato sostenibile e strettamente sorvegliato. Proprio quello che si chiede oggi al nostro Governo.

La soluzione, quindi, è a portata di mano. E il lavoro intrapreso dal ministro Delrio assieme al dicastero dell’Economia, potrebbe portare proprio in questa direzione. Sempre se il Governo rimanga in carica. Perché anche questa volta, come avviene da decenni in Italia, superata la fase degli annunci e giunti al momento delle riforme, iniziano le crisi. Ma se dovessimo tornare alle elezioni senza aver intrapreso questo cammino, magari mettendo pure in stand-by la Delega, il prossimo esecutivo non avrebbe più nulla da salvare, perché allora sarà già troppo tardi. Col risultato che a chiudere saranno anche quelle poche imprese sopravvissute alla crisi, andando a rincarare le cifre già deprimenti sulla disoccupazione. E non per un difetto di competitività, ma perché schiacciate da leggi insulse e dall’assenza di riforme. Per un vero disastro tricolore.

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