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Si alla cannabis, no al gioco (e alla pubblicità): le due facce della morale italiana

20 luglio 2015 - 09:02

Mentre da più parti si chiede l'abolizione della pubblicità del gioco, si punta alla legalizzazione della cannabis. Per una morale sempre più alternata.

Scritto da Alessio Crisantemi
Si alla cannabis, no al gioco (e alla pubblicità): le due facce della morale italiana

Che il nostro paese sia caratterizzato da una “morale alternata” è un fatto ormai noto, e non solo un cliché. E su queste pagine , in questi anni, nell'osservare e descrivere le tante campagne 'anti-gioco' promosse da vari pulpiti. Che troppo spesso dimenticano gli altri problemi e le altre patologie che affliggono il paese e i cittadini, quasi come se l'unico problema nazionale fosse il gioco e il rischio di dipendenza. Che la questione non sia da sottovalutare - bensì, da evidenziare, ribadire, enfatizzare, allo scopo di arrivare a una regolamentazione adeguata – lo diciamo da tempo. E non smetteremo mai di farlo, finché non arriveremo a un gioco davvero sostenibile. Come del resto, va detto, è la stessa industria a ribadirlo, mettendosi a disposizione nel ragionare su una riduzione dell'offerta e sul coinvolgimento degli enti locali nella gestione del gioco sui territori, in maniera anche molto più convinta rispetto al governo o al Parlamento. Ma oltre alla sensazione di assistere a un eccessivo allarmismo sul tema delle dipendenze (rispetto al quale lo Stato è due volte colpevole, non avendo ancora oggi commissionato uno studio epidemiologico sul fenomeno attraverso il ministero di competenza), negli ultimi giorni si arriva a sfiorare il paradosso, sentendo proclamare la necessità di arrivare a un divieto assoluto di pubblicità. Una soluzione che, come già spiegato, sarebbe non solo del tutto inefficace in termini di prevenzione, ma rappresenterebbe addirittura un clamoroso autogol dal punto di vista politico, offrendo una sorta di equiparazione del gioco illecito o non autorizzato con quello legale.
lo abbiamo più volte  evidenziatoA rendere il quadro ancora più incredibile tuttavia è il fatto di assistere alla diffusione di questa convinzione in parallelo a quella diametralmente opposta rispetto alla legalizzazione della cannabis. Il principio che spinge il paese verso questo passaggio a dir poco storico, è molto semplice: ed è proprio quello che portò il Legislatore, agli arbori del Duemila, a regolamentare il gioco pubblico. Come ha spiegato bene il professor Umberto Veronesi sulle pagine de Il Corriere della Sera, “La questione non è se la marijuana è dannosa o no per la salute: sicuramente lo è e si tratta soltanto di stabilire quanto. La discussione in atto nel mondo occidentale è piuttosto: vietare il consumo per legge è efficace per controllare il consumo di sostanze dannose oppure no?”. E la risposta fornita dal Direttore scientifico dell'Istituto europeo di oncologia è nettamente negativa, spiegando come il proibizionismo non diminuisce il consumo bensì aumenta la criminalità che ne controlla il mercato. Con tanto di conclusione: “Se non riusciamo a dissuadere i nostri figli dal fumare sigarette e spinelli, almeno non buttiamoli nelle braccia delle mafie”. E la teoria, non è soltanto del professor Veronesi e un di una parte della comunità scientifica, ma è ormai diffusa anche in ambiente politico e istituzionale. Per questo stupisce ancor di più il fatto che venga dimenticato di applicare lo stesso principio quando si tratta di gioco pubblico. Eppure, anche nel gioco, si tratta di “stabilire quanto sia effettivamente dannoso per la salute”, come dice il professore per la marijuana. E anche nel gioco esiste un dibattito internazionale sia rispetto alla sua regolamentazione – con la convinzione ormai generalizzata che l'unica gestione possibile è la regolamentazione dell'offerta – che sulla pubblicità. Con la differenza, però, tutt'altro che banale, che fumare nuoce gravemente alla salute: che si tratti di cannabis o di semplici tabacchi. Mentre il gioco, anche quello con vincita in denaro, è noto a tutti che non rappresenta un pericolo se praticato con moderazione e in maniera “sana”. Anzi, al contrario, rappresenta una necessità per l'individuo rappresentato un'occasione di svago e di ricreazione. Per questo l'unico parallelismo consentito per gioco “di azzardo” è quello con gli alcolici. Anche l'alcol può essere assunto in maniera moderata e sana, per esempio bevendo un bicchiere di vino durante i pasti e godendone, in generale, con moderazione. E' l'eccesso, al contrario, che provoca danni enormi, e i dati sulle vittime annuali di alcolismo suscitano terrore. Ben oltre le stime (anche quelle più “spinte”) relative al gioco patologico.
Se tiriamo in ballo l'esempio degli alcolici non è un caso, ma non è certo per trovare un pericolo maggiore o un diverso “nemico” da dare in pasto all'opinione pubblica. Lo scopo è invece quello di suscitare una riflessione, centrale rispetto al tema che si sta affrontando oggi sui banchi del parlamento. Se la politica pare aver deciso che la soluzione migliore è quella di vietare tout-court la pubblicità del gioco, senza preoccuparsi minimamente di quella degli alcolici, c'è qualcosa che non va. E le uniche spiegazioni possibili sono due: o si tratta di una “svista”, cioè nessuno si sta preoccupando di quel grave fenomeno che è l'alcolismo, nonostante lì esistano dati certi e non stime di massima come quelle diffuse sui giochi, oppure, al contrario, il fenomeno risulta noto e ritenuto tollerabile perché, evidentemente, le pubblicità degli alcolici – che sono tra le più diffuse in assoluto in Italia, e su tutti i media – appare “sostenibile”. Probabilmente perché riesce a far convivere adeguatamente campagne di marketing con quelle di educazione al consumo. Allora, delle due l'una: se lo Stato ha deciso che i consumatori devono essere “tutelati” nascondendo dai media l'invito al gioco pubblico, allora è il caso di considerare la stessa soluzione anche per gli alcolici. Al contrario, se la pubblicità di quest'ultimi è ritenuta tollerabile, allora venga presa a modello per regolamentare anche quella dei giochi. E in coerenza con questo si potrà valutare anche la regolamentazione sulla cannabis, che non spetta a noi giudicare. A meno che lo Stato non abbia individuato nei coffee shop l'adeguato sostituto alle sale da gioco. Ma questa sarebbe un'altra storia.

 

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