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Giochi: l'ora della riforma, tra tanti rimandi e troppi rinvii

12 dicembre 2016 - 09:37

È il momento di Paolo Gentiloni: a lui il compito di guidare il paese e, forse, di riformare i giochi.

Scritto da Alessio Crisantemi
Giochi: l'ora della riforma, tra tanti rimandi e troppi rinvii

Altro giro, altro governo. Il terzo della diciassettesima legislatura e il quarto non eletto dal popolo, ma incaricato dal Presidente della Repubblica. Fuori Matteo Renzi, ora tocca a Paolo Gentiloni tenere le briglie del paese. Nell'arduo compito di guidare gli italiani (e, soprattutto, i troppi gruppi politici che li rappresentano) verso le prossime elezioni, ma solo dopo aver cambiato la legge elettorale. Come da mandato del Capo dello stato. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire.

Non nelle persone - con il nuovo esecutivo che dovrebbe veder ripescati alcuni dei ministri uscenti con l'innesto di altri soggetti non certo nuovi alla politica o comunque già in forza in altri scranni pubblici (con l'unica eccezione, rispetto ai precedenti quattro governi, nel committente: non più Giorgio Napolitano, come i tre precedenti, ma Sergio Mattarella) - ma neppure nelle tematiche da affrontare. Con la legge elettorale di cui sopra, che continua ad essere uno degli obiettivi principali, insieme alle emergenze che derivano dall'ancora difficile situazione economica e alla ricostruzione delle zone terremotate che rappresenta ancora un tema centrale.
Tra gli argomenti da affrontare, tuttavia, ci sarebbe anche quello del riordino del gioco pubblico. Tema che, manco a dirlo, non verrà ritenuto urgente dall'Esecutivo, pur rappresentando una delle "solite" questioni di cui ci si dovrebbe occupare da tempo e sulla quale si sono già susseguiti nel tempo vari annunci e troppe promesse, mai portati a termine da nessuno degli ultimi cinque governi.
Una storia che si ripete dall'estate del 2006, quando era appena iniziata la quindicesima legislatura, con Romano Prodi per la seconda volta presidente del Consiglio e l'ex sindacalista Alfiero Grandi che da sottosegretario all'Economia riceveva la delega ai giochi (e con il neoeletto premier Gentiloni che proprio in quell'occasione riceveva il suo primo incarico di peso come Ministro delle comunicazioni); promettendo, appunto, un riordino generale del comparto.
Già allora si sentiva la necessità di riorganizzare il settore, dal punto di vista giuridico e legislativo, partendo dall'istituzione di un Testo Unico sui giochi, in un'ottica di semplificazione normativa (autentico leitmotiv della Seconda Repubblica e una delle tante promesse non mantenute dalla politica) che diventava vieppiù necessaria alla luce della continua stratificazione di leggi, regolamenti e norme varie. A dare un impulso concreto al lavoro, all'epoca, fu il deputato dell'Ulivo Rolando Nannicini (padre di Tommaso, il quale, per un curioso rimando, risulta tra le metti dietro al presunto riordino di oggi, come consulente del governo Renzi) autore della celebre Risoluzione che rimise in sesto il comparto delle new slot, dopo lo scossone delle maxi sanzioni, e che mostrava di avere le idee chiare su come gestire il gioco. Peccato però che quel governo - pur avendo compiuto alcuni passi importanti per il settore (come la gara pubblica per le concessioni del Betting, che porta il nome di Pierluigi Bersani, allora Ministro dello sviluppo economico) fu uno dei più brevi della storia recente, cadendo prima di compiere l'annunciata riforma generale (e non solo quella, naturalmente).
Da lì in poi, la storia si è grosso modo ripetuta in maniera simile. Con la Sedicesima legislatura tornava al timone Silvio Berlusconi per il quarto e ultimo mandato da premier e anche qui veniva annunciata più volte un'imminente riforma del comparto. Mai compiuta, naturalmente. E lo stesso accadeva con il successivo esecutivo, affidato a Mario Monti, in cui la delega ai giochi (precedentemente assegnata al deputato di Forza Italia, Alberto Giorgetti) veniva temporaneamente 'gestita' dal sottosegretario Vieri Ceriani. Ed è qui che l'auspicata Riforma del gioco pubblico raggiungeva forse il più alto livello di concretezza, al punto da essere inserita - in modo completo ed organico - all'interno di uno specifico articolo della celebre Legge Delega, la cui definizione veniva avviata proprio sotto il governo Monti.
Poi però - ci risiamo - saltava anche il governo dei tecnici scelti (anche loro) da Napolitano e toccava a Enrico Letta prendere in mano il timone di Palazzo Chigi, sia pure in un periodo assai breve. Tuttavia è proprio in questo mandato che si concretizzava l'iter della stessa Delega e che iniziava a seguire la materia Pier Paolo Baretta, in qualità di sottosegretario all'Economia (dietro all'allora ministro Fabrizio Saccomanni). Intanto la Delega concludeva l'iter parlamentare e nonostante l'ennesima crisi di governo che portava alle dimissioni di Letta a febbraio del 2014, diventava legge il mese successivo, spalancando la strada delle riforme - tra cui, appunto, quella dei giochi - al successivo governo di Matteo Renzi, che avrebbe dovuto "soltanto" approvare quanto scritto in quella legge per riformare, una volta per tutte, il comparto. Tra l'altro, a dare continuità rispetto al precedente esecutivo, era proprio l'ex sindacalista (proprio come Grandi, per un altro curioso rimando) Baretta, che ritroviamo anche qui con lo stesso incarico di Sottosegretario, ottenendo pure la delega ai giochi (dopo una parentesi di Giovanni Legnini, che poi saliva al Consiglio superiore della Magistratura) dietro a un preciso scopo: realizzare la riforma del gioco, tornando a parlare dell'agognato riordino. Obiettivo, manco dirlo, tutt'altro che raggiunto e ancora una volta rimandato. Lasciando decadere le prescrizioni della Legge Delega, mai attuata nella parte sui giochi. Continuando però a invocare (e a promettere) una riforma sempre più necessaria, visto l'imperare delle leggi regionali sulla stessa materia che nel frattempo hanno proliferato nella Penisola senza che nessuno dei suddetti governi si sia mai preoccupato di intervenire. Facendo splodere l'attuale 'Questione territoriale' di cui non si intravede ancora la fine.
Insomma, la storia sembra ripetersi in maniera più o meno sistematica, per i giochi, come pure per il paese. E la riforma continua a rivelarsi una sorta di manifesto politico, neanche comodo da proporre, e assai più facile da rimandare. Per questo, è inevitabile, il nuovo governo si insedia oggi tra le speranze sempre più scarse degli addetti ai lavori. Anche se stavolta appare difficile pensare di procrastinare ulteriormente la decisione, tenendo conto che un ulteriore rinvio del riordino vorrebbe dire un altro slittamento delle gare pubbliche per il rinnovo delle concessioni che, come abbiamo già evidenziato su queste pagine, potrebbe costituire un serio problema politico soprattutto nei confronti dell'Europa, da cui il paese sembra dipendere in maniera sempre più incisiva.
Che sia  questa la volta buona? Difficile crederlo. Soprattutto se lo scopo principe dell'esecutivo sarà quello di andare a votare prima possibile, che imporrebbe di concentrare gli sforzi sulla riforma elettorale prima di ogni altra cosa. Anche se la conferma di Pier Carlo Padoan al Ministero dell'Economia potrebbe proporsi come un chiaro segno continuità con il passato (ovvero col presente), offrendo quindi una chance di portare a termine le politiche intraprese fino ad oggi. Giochi compresi (purché continuità, in questo caso, non voglia dire prolungamento dell'impasse). La domanda, in realtà, non è più tanto nel "quando" si assisterà a un intervento sui giochi, dando per scontata la necessità di trovare una soluzione a breve: quanto, piuttosto sul "come" si potrà intervenire. Auspicando in una vera riforma, degna di tale nome, e non nella solita toppa cucita d'urgenza a cui siamo ormai abituati. Quella sì che rappresenterebbe un chiaro segnale di continuità col passato: non solo rispetto allo scorso governo ma rispetto alle due precedenti legislature. Con i risultati che tutti conosciamo e nient'affatto positivi.

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