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Gioco pubblico: oltre alla cassa c'è di più

16 gennaio 2017 - 10:44

Il conto economico dell'anno appena concluso rivela un boom di entrate erariali, ma lo Stato decide guardare oltre.  

Scritto da Alessio Crisantemi
Gioco pubblico: oltre alla cassa c'è di più

Dieci miliardi di euro. A tanto ammonta il contributo erariale che il comparto del gioco pubblico ha portato direttamente nelle casse dello Stato durante il 2016, secondo le stime che provengono dalla rete degli operatori (in attesa del dato ufficiale che verrà diffuso a breve dal Ministero dell'Economia). Una cifra enorme, che vale da sola oltre un terzo della manovra finanziaria varata dall'Esecutivo per l'anno corrente, e un nuovo primato registrato dal comparto dalla sua costituzione ad oggi. Per un risultato davvero notevole, specie se analizzato nei dettagli (e non in modo strumentale, come troppo spesso accade, confondendo la raccolta 'lorda' con la spesa effettiva dei giocatori), tenendo conto che all'incremento del fatturato (pari a circa 95 miliardi nel 2016) e, di conseguenza, delle entrate erariali (cresciute del 24 percento) non corrisponde una crescita altrettanto radicale della spesa (cresciuta di circa l'8 percento), che dal 2012 ad oggi ha assunto sempre un andamento pressoché costante.

 

Ma oltre a questo tipo di analisi da fare sui dati relativi ai giochi, la contabilità del settore merita un altro tipo di approfondimento, specialmente da parte dello Stato e, quindi, del governo. Guai a fermarsi alla mera realtà analitica, dietro alla quale si nasconde un benessere effimero (per i conti pubblici) e uno stato di salute soltanto apparente (per quanto riguarda la filiera): sarebbe letale. Bisogna infatti notare come le performance di raccolta erariale abbiano goduto più che altro dei benefici provenienti dal forte aumento dell'imposizione fiscale sugli apparecchi da intrattenimento (la fetta più grande del mercato dei giochi) introdotto con la Stabilità 2016 che aveva fatto salire il prelievo sulle slot di 4,5 punti percentuali e di mezzo punto sulle vlt. Dietro ai benefici immediati per lo Stato, si nasconde quindi un impoverimento della filiera che dovrebbe far suonare l'allarme del Legislatore. Perché un mercato funziona solo se è in grado di garantire sufficienti margini alle imprese che vi operano: e nel settore del gioco pubblico tale presupposto rischia di venir meno sulla base dei repentini cambiamenti introdotti per legge in questi ultimi anni. Non bisogna infatti dimenticare come il cambio di tassazione sugli apparecchi, pur essendo accompagnato da una revisione del payout, ha imposto una serie di investimenti cospicui ai gestori che operano sul mercato a causa del ricambio forzato di tutte le macchine da gioco in attività, che ora dovranno essere ammortizzate nel corso dei prossimi mesi. Ed è proprio nel mezzo di questo naturale processo di mercato che entrerà in vigore la riduzione delle slot in attività del 30 percento già disposta dal Legislatore per il prossimo anno che il governo potrebbe addirittura anticipare a quello corrente. Senza contare, poi, che dal prossimo anno, legge alla mano, gli stessi gestori dovranno pure iniziare ad effettuare un nuovo ricambio "forzato" del parco macchine con l'avvento della nuova generazione di slot 'da remoto', che avverrà in maniera graduale ma comunque in fase di recupero degli investimenti già realizzati in questi mesi, per un passaggio che si preannuncia già decisamente critico (e che dovrà essere probabilmente accompagnato da incentivi o tutele da parte dello Stato per gli operatori).

La situazione, però, è ancora peggiore se si guarda oltre al mercato, ragionando soprattutto in termini di distribuzione. Se il 2016 si è chiuso con un autentico fiasco ottenuto dal governo in tema di riordino del comparto - che doveva avvenire attraverso la Conferenza Unificata - l'anno corrente rischia di essere quello più critico nella storia del comparto perché è nei prossimi dodici mesi che verranno al pettine tutto i nodi che il governo (o, meglio, i governi, visto che il processo riguarda gli ultimi cinque Esecutivi che si sono succeduti nell'ultima legislatura) non ha saputo districare. E a dirla tutta, neppure affrontare. Almeno non in modo adeguato e tanto meno risolutivo. Il risultato, dunque, è che, senza un accordo tra Stato ed Enti locali (ovvero, tra diversi livelli dello stato stesso, per ricordare il paradosso nazionale), non solo non si potranno effettuare le gare pubbliche per il rinnovo delle concessioni (con tutti i problemi, anche politici, che questo potrà comportare, specie in chiave europea), ma peggio ancora, inizieranno a saltare dei 'pezzo' di mercato per il settore del gioco. O, almeno, per quello legale, visto che dove sparirà l'offerta di Stato c'è da aspettarsi un repentino rimpiazzo da parte di forme di gioco illecite, come la storia ci ha insegnato. 

Per questa ragione il governo non può commettere l'errore di soffermarsi al solo dato erariale conseguito nel 2016, pensando quindi che, nonostante tutto, il settore sia ancora in salute, o comunque in grado di garantire ciò che serve alle casse nazionali. Se la 'Questione territoriale' non verrà affrontata quanto prima, il futuro del settore (e dell'Erario) non sarà affatto così roseo e tutt'altro che positivo. Basti pensare che a maggio scadranno le licenze di gioco attive in Liguria - sulla base della legge regionale mai impugnata dal governo - con la maggioranza di queste che non potranno essere rinnovate per via delle restrizioni introdotte dal legislatore locale. E oltre al rischio del ritorno del far west su quei territori (con il mercato illecito che non aspetta altro), è inevitabile un impatto diretto sulle performance erariali e non solo sulle imprese che operano nel settore in quelle zone, che rischiano di chiudere bottega.
E, peggio ancora, dopo Genova e la Liguria, sono pronti ad innescarsi meccanismi analoghi in altri territori, fino alla scomparsa totale del gioco lecito.
È quindi evidente quanto sia necessaria ed urgente una riforma del settore o, comunque, un intervento risolutore dello Stato. Evitando di confondere il benessere apparente rivelato dai bilanci come un indice di sostenibilità: parola, questa, ancora decisamente sconosciuta al settore, seppure così fortemente ricercata.

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