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Questione territoriale: sia lo Stato a decidere, non i giudici

23 gennaio 2017 - 10:23

Il tempo passa, la Questione Territoriale non viene risolta e le situazioni precipitano: ma è il Legislatore a dover intervenire, non i tribunali.

Scritto da Alessio Crisantemi
Questione territoriale: sia lo Stato a decidere, non i giudici

Il gioco pubblico torna ad occupare le prime pagine dei giornali con il 'caso Torino', all'indomani della pronuncia del Consiglio di Stato che ha temporaneamente sospeso la disciplina sugli orari di esercizio delle slot stabilita dal comune piemontese che in precedenza, al contrario, era stata avallata dal Tar. E ora, mentre si attende l'udienza di merito, si scatena il dibattito. Tra chi difende la libertà di impresa delle aziende che operano nel comparto del gioco e in quello dell'horeca (visto che il “danno” economico richiamato dal Consiglio di Stato vale per gli esercenti e quindi per i bar e non solo per i gestori di apparecchi o i concessionari di rete), e chi rivendica il diritto degli Enti locali - e in particolare dei sindaci – di intervenire in materia di esercizio dei giochi, ponendo dei limiti alla distribuzione qualora lo reputino necessario. Invocando l'ordine pubblico e la tutela della salute che i primi cittadini sono demandati a preservare. Due punti di vista che appaiono oggi diametralmente opposti, quando, invece, non sarebbe affatto così. O, almeno, così non dovrebbe essere.

Sì, perché il gioco pubblico – non ci stancheremo mai di ricordarlo – svolge, e deve continuare ad esercitare, il proprio ruolo di baluardo della legalità (e non quello di un 'bancomat' di Stato), proponendosi cioè come alternativa al gioco illegale (quello sì 'd'azzardo') che nel nostro paese era spaventosamente diffuso prima della costituzione di un comparto legale. Al punto da essere ancora oggi presente - seppure, per fortuna, con numeri decisamente inferiori rispetto agli arbori del Duemila - nonostante i 95 miliardi di raccolta che vengono generati dall'offerta statale. Ma questo non vuole dire, attenzione (tornandoci anche qui a ripetere, ma in questo caso non guasta), che si possa estendere e moltiplicare l'offerta a dismisura, e magari pure incentivare le giocate, basandosi unicamente sul principio che l'offerta legale sia meglio di quella illegale. Un aspetto senz'altro reale (visto che l'offerta illecita non propone, evidentemente, alcun controllo, né delle certezze in merito alle probabilità di vincite né alcun tipo di tutela per i giocatori), ma che non può essere anch'esso strumentalizzato, tenendo conto che, come tutti sanno, si può diventare dipendenti anche di un gioco autorizzato dallo Stato.
Per tutte queste ragioni, dunque, è fondamentale riuscire a trovare un equilibrio nella regolamentazione e distribuzione del gioco che sia in grado di contemplare tutti questi aspetti e le esigenze degli enti locali, come pure quelle dell'industria: visto che, fino a prova contraria, esiste una filiera (peraltro pure cospicua e in grado di garantire migliaia di posti di lavoro), a cui lo Stato ha affidato l'esercizio di questo mercato attraverso delle concessioni pubbliche. E, nonostante quanto si possa leggere o ascoltare nei dibattiti quotidiani, anche attraverso una serie di regole rigide e numerosi paletti, come è giusto che accada (e a volte, diciamolo pure, anche oltre la razionalità, ma questa è un'altra storia). E' però evidente che l'attuale impianto normativo che governa il mercato del gioco non è più adeguato alla realtà del nostro paese. Per via di varie ragioni e molte responsabilità, delle quali non sembra neppure aver più senso neppure discutere, mentre si dovrebbe pensare soltanto alla ricerca di una soluzione. E di quell'equilibrio appena richiamato, che negli ultimi governi abbiamo sentito più volte invocare, senza però vederlo mai raggiungere. Eppure è proprio quella la strada da imboccare. Perché in un paese come l'Italia è impensabile far sparire un'offerta di gioco legale, ma è al tempo stesso evidente che la distribuzione di questa stessa offerta risulti eccessiva. Come pure appaiono sacrosante le rivendicazioni degli enti locali. Tutti aspetti di primaria importanza, che proprio per questo non possono essere rimessi nelle mani di giudici amministrativi (con tutto il rispetto per le toghe, ci mancherebbe altro, che svolgono un lavoro notevole nei confronti della 'materia' gioco, ma comunque in supplenza del Legislatore), ma vanno affrontati in maniera chiara, serie e definitiva dallo Stato e, quindi, dal governo. Una volta per tutte. E se dovrà essere la Conferenza Unificata a indicare la via d'uscita da questa interminabile impasse, così sia. Purché si possa scrivere al più presto la parola 'fine' attorno all'annosa Questione territoriale che sta portando alla deriva l'intero paese, e non solo l'industria e le stesse amministrazioni locali: visto che, il rischio ormai concreto, è che alcuni comuni si ritroveranno a far fronte a richieste di risarcimento da parte degli operatori, come già avvenuto in alcuni territori.

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