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L’Italia fa scuola all’estero, ma che ne sarà del gioco pubblico?

06 febbraio 2017 - 09:56

La regolamentazione del gioco pubblico italiano è ancora oggetto di studio all’Ice di Londra: ma come spiegare gli interminabili rinvii della gare per le concessioni? 

Scritto da Alessio Crisantemi
L’Italia fa scuola all’estero, ma che ne sarà del gioco pubblico?

 Il mercato del gioco pubblico italiano è ancora in grado di suscitare enorme interesse nel resto del mondo. Sia in termini di business, è evidente, ma anche (e soprattutto) in termini di regolamentazione, rappresentando un benchmark di indubbio valore per i regolatori degli altri paesi che hanno introdotto dopo di noi - o stanno introducendo oggi - una legalizzazione del settore. Nell’evidente obiettivo – troppo spesso dimenticato, almeno nel nostro paese – di arginare la diffusione dell’illegalità e far emergere un’economia sommersa e del tutto fuori controllo, che viene generata dalla circolazione di enormi quantità di denaro, in genere dirottate verso altri paesi, magari dei paradisi fiscali, pensando prevalentemente al gaming online. Ebbene sì, è proprio questo che accade nei paesi democratici, in cui lo Stato (e la politica) funziona: di fronte al dilagare di un fenomeno illecito, che genera evasione fiscale e mette a repentaglio la sicurezza dei cittadini, si introduce una regolamentazione che possa inquadrare quello specifico fenomeno, limitandolo pure e circoscrivendolo entro paletti ben definiti, ma comunque andando in direzione opposta a quella del proibizionismo. Del resto sono stati proprio questi i principi ispiratori dell’Italy briefing: ovvero, il Seminario ospitato dalla fiera Ice Totally Gaming di Londra e dedicato al gioco pubblico italiano, che viene preso come modello proprio per via della capacità, dimostrata nel tempo, di riuscire a centrare il duplice a senz’altro ambizioso obiettivo di limitare fortemente l’offerta illegale.

Non è affatto un caso, in effetti, che anche quei paesi che si sono rivelati particolarmente ostili nei confronti del gioco, introducendo regole rigide e divieti piuttosto netti, ci si trovi ora a introdurre una legislazione specifica legata a queste attività, in genere riguardo all’online. Accade in Olanda, in Germania, in Svizzera e in maniera molto più eclatante negli Stati Uniti. Perché regolamentare è molto più efficace rispetto al vietare. E su questo non sembrano esserci dubbi. Poi, è evidente, si tratta di capire come intervenire in maniera idonea rispetto alla realtà del proprio paese e quali paletti stabilire per evitare derive in termini di disagio sociale. Ed è qui, probabilmente, che il nostro paese è stato più carente, al punto da arrivare all’esplosione del conflitto tra Stato ed Enti locali che sta causando non pochi problemi non solo all’industria del gaming, quanto piuttosto al governo e al paese più in generale, tenendo conto che se non si riuscirà a procedere con l’emanazione dei bandi di gara per il rinnovo delle concessioni, l’Italia potrebbe incorrere in qualche sanzione, se non addirittura in qualche situazione peggiore, nei confronti dell’Europa, in un momento tutt’altro che favorevole in termini di politiche comunitarie. Anzi.
Eppure il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, lo ha detto chiaramente: senza un accordo con gli Enti locali non ci sarà nessuna riforma, con l’Esecutivo che non intendere imporre un diktat sul gioco. Lodevole, non c’è dubbio, ma tutt’altro che risolutivo. Perché prima o poi una soluzione bisognerà trovarla, altrimenti si rischia il collasso del sistema, e non solo un’infrazione. Ma lo sa bene anche Baretta, che non a caso ricorda come gli Enti locali in questi anni sono “giustamente intervenuti perché mancava una regolamentazione centrale”. Ma il punto è proprio questo: se non si riesce a farla, questa regolamentazione efficace, la situazione resterà complicata, e “con un altissimo rischio di contenzioso con i concessionari". E con tutti i rischi del caso.
Allora, a chi conviene perpetrare questo ostracismo nei confronti di una regolamentazione che intende evidentemente limitare l’offerta di gioco e riordinare un’offerta ritenuta da più parti eccessiva? La risposta è semplice, seppure paradossale: a nessuno. Non conviene al governo, che dovrà rispondere in Europa (e non solo) della mancata emanazione dei bandi, non conviene agli stessi enti locali, che vedranno protrarsi quella situazione che cercano di cambiare con la loro protesta e azione politica, e non conviene sicuramente all’industria, come pure alle casse del nostro paese. Certo, questi aspetti non saranno affatto semplici da spiegare, al resto del mondo, in quanto appaiono questioni squisitamente italiane. Ma di certo non potremo dare torto a quelle imprese estere che penseranno di fare marcia indietro rispetto alla possibilità di investire nel nostro paese, venendo a conoscenza di un simile scenario. Anche questa è l’Italia.

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