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Riordino dei giochi o dei conti?

13 febbraio 2017 - 10:55

Mentre la riforma del gioco pubblico e 'l'operazione riordino' continuano a sfuggire, il governo pensa  a una nuova tassa sul comparto. Ci sarà indignazione?

Scritto da Alessio Crisantemi
Riordino dei giochi o dei conti?

La riforma del gioco pubblico appare sempre più lontana. Nonostante i buoni auspici delle scorse settimane e il presunto accordo sbandierato qualche giorno fa tra governo ed Enti locali, che sembrava riguardare, almeno, gli amministratori di area Pd, la scorsa settimana è arrivata una nuova doccia freddain Conferenza Unificata, seguita dalla presa di distanza di alcuni rappresentanti regionali appartenenti allo stesso partito. Oltre alla 'solita' Lombardia, e agli altri oppositori della linea governativa sui giochi. Per un autentico cul-de-sac, in cui gli Enti Locali intervengono sulla disciplina dei giochi lamentando l'assenza del Legislatore sulla materia e la necessità di introdurre delle limitazioni, ma quando il Governo propone un piano di riordino che limita seriamente la distribuzione e restringe le possibilità di esercizio delle slot, gli stessi Enti ne rendono impossibile l'attuazione.

Lasciando in questo modo tutto esattamente come prima. Nella stessa situazione, cioè, che loro stessi intendevano cambiare. Anche se dal punto di vista delle responsabilità, non si può certo puntare il dito contro i territori, tenendo conto, in primis, che il governo avrebbe facoltà di prendere una decisione definitiva sulla materia, imponendo una soluzione, visto che la Conferenza  non ha saputo (voluto?) dare una risposta concreta (dopo che la legge di Stabilità per il 2016 aveva addirittura fissato la scadenza allo scorso 30 aprile) e tenendo anche conto che la ricetta predisposta dall'Esecutivo non risulterebbe neppure impositiva, raccogliendo per intero le richieste avanzate dai diversi interlocutori durante questi mesi: dalle distanze alla disciplina sugli orari, passando per i finanziamenti ai territori e molto altro ancora. Invece l'Esecutivo ha detto chiaramente di non voler intervenire senza un accordo, che sarà pure moralmente accettabile, ma che si rivela, da un punto di vista strettamente politico, come un evidente scarico di responsabilità, evitando di prendere una decisione. Come del resto gli ultimi governi hanno sempre fatto, su questa materia, negli ultimi sei anni: da quando cioè era stata introdotta la prima legge di carattere locale sui giochi, mai impugnata dall'Esecutivo nonostante la Riserva di Stato sui giochi che dovrebbe imporre una gestione centrale del comparto. Ed è così che la riforma continua a sfuggire, mantenendo perfettamente inalterato lo status quo.
Eppure potrebbe esserci anche di peggio. Le ultime indiscrezioni provenienti da Palazzo Chigi, in effetti, vedrebbero nei giochi una possibile soluzione per far fronte alle richieste della Ue, che impongono all'Italia una manovra correttiva dei conti pubblici da 3,4 miliardi di euro, pena l'apertura di una procedura di infrazione che vorrebbe dire radere al suolo in maniera definitiva la reputazione del nostro paese all'estero, rischiando di annientare definitivamente l'appeal verso gli investitori internazionali (già abbattuto nel corso degli anni).
La linea del Governo e del suo partito di maggioranza è nota: le tasse non devono aumentare, ma solo diminuite. E se sull'onda di questo (ipocrita) refrain governativo è già stato avallato l'assurdo principio secondo il quale le aziende del gioco pubblico – come pure gli esercenti – sarebbero da considerare figlie di un Dio minore, visto che per loro le tasse sono già aumentate e anche in maniera particolarmente significativa (si pensi al Prelievo sugli apparecchi, passato nell'era di Matteo Renzi dal 13 al 17,5 percento o alla tassa sui 500 milioni del 2015, nonostante di continui a parlare di una potentissima “lobby dei giochi”), adesso la storia rischia di ripetersi e in maniera anche più grave e deleteria. In primis, da un punto di vista contabile, con un nuovo balzello che rischia di essere davvero insostenibile per le imprese; ma anche da un punto di vista strettamente politico, tenendo conto che un ricorso ulteriore alla leva fiscale farebbe vanificare gli sforzi (almeno apparenti) del governo e degli Enti nell'affannosa ricerca di un punto di equilibrio e di una riduzione del mercato. Se l'ipotesi che trapela da Via Venti Settembre per la manovra aggiuntiva è quella di introdurre una 'tassa unica' sui giochi, con un balzello sugli oltre 90mila punti di vendita dei giochi, giustificandolo come “un colpo di freno al gioco d'azzardo cresciuto a dismisura e raddoppiato in dieci anni”, una soluzione di questo tipo sarebbe in realtà difficile da far convivere con le politiche di riduzione discusse in Conferenza Unificata. Certo, il fatto di dire: servono soldi per evitare il default, prendiamoli dai giochi, sembra convincere tutti. Molto meglio prenderli  “dall'azzardo” che tagliare a scuola, cultura, ricerca e così via. Ci mancherebbe altro. Ma come poter credere, a quel punto, che il governo voglia davvero limitare la diffusione del gioco, se basa la sua economia (o comunque, la salvezza economica) proprio sulle entrate provenienti da questo settore? La domanda, evidentemente, è da rivolgere prima di tutto agli Enti locali, che dovrebbero essere i primi, a questo punto, a indignarsi rispetto all'ipotesi di introdurre nuove tasse al settore del gioco: molto prima degli addetti ai lavori. Per un altro immenso paradosso, in cui gli operatori potrebbero quasi essere contenti di ricevere un altro aumento di tasse perché questo si rivelerebbe, appunto, una sorta di “garanzia sul futuro”. Se non fosse, tuttavia, che stavolta non ci sono più davvero i margini per rastrellare altri fondi dal gioco. Per questa ragione l'ipotesi dell'ultima ora sembra essere particolarmente avventata e decisamente pericolosa. Sarà bene che se ne rendano conto gli enti locali, e non solo il governo.

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