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E continuavano a parlare di legalità...

27 febbraio 2017 - 12:00

Il sistema italiano del gioco continua ad essere esaltato per i successi nel contrasto agli illeciti ma, al tempo stesso, bistrattato e minato alle fondamenta.

Scritto da Alessio Crisantemi
E continuavano a parlare di legalità...

Il modello di regolamentazione del gaming italiano viene visto sempre più come best practice a livello internazionale, ma allo stesso tempo, viene additato come fonte di mali per il nostro paese.  Sono queste le due facce del gioco pubblico nazionale, che spesso convivono anche all'interno delle stesse sedi, istituzionali e non. Un segno evidente della 'schizofrenia' del nostro Legislatore (e della politica, più in generale) nell'approccio al comparto dei giochi, resa ancora più esplicita dagli accadimenti degli ultimi giorni, dentro e fuori i confini nazionali. Un trend che a dire il vero registriamo ormai da qualche anno, ma che sembra acutizzarsi col passare del tempo, trovando in questi mesi la sua massima espressione. Per un paradosso tutto italiano.

Un passaggio clamoroso si è avuto a inizio febbraio, in occasione dell'Ice di Londra dove – come abbiamo già evidenziato – il nostro modello di regolamentazione dei giochi veniva esaltato in un Seminario specifico, evidenziando gli straordinari risultati ottenuti in termini di contrasto all'illegalità e di emersione (peraltro con grande interesse dei regolatori degli altri paesi che ne stanno attingendo da più parti), mentre nello stessa mattinata, a Roma, la Conferenza unificata rimandava sine die l'accordo tra governo ed enti locali sulla stessa materia, con troppi soggetti che ancora chiedono soluzioni proibizioniste. Magari mascherate in forme apparentemente più tolleranti, ma comunque orientate a un divieto più o meno assoluto del gioco. Preferendo, evidentemente, vietare invece di regolamentare. Ovvero, il principio esattamente opposto a quello su cui si basa l'intero impianto normativo costruito attorno al mercato dei giochi, che vede(va) nella regolamentazione dell'offerta il migliore (e forse unico) antidoto al dilagare dell'illegalità. In un paese, non dimentichiamolo mai, dove l'offerta di gioco è diffusa da secoli, come pure l'illegalità. Un altro chiaro segnale di schizofrenia politica (o di morale alternata, se si preferisce) arriva anche nelle scorse ore, dopo la conclusione del processo 'Black Monkey' andato in scena a Bologna, in seguito al quale abbiamo assistito al rincorrersi di elogi provenienti da più parti rispetto all'importante risultato ottenuto dallo Stato e dell'importanza di arginare l'illegalità, anche e soprattutto nel mondo del gioco. Parole sante, non c'è dubbio. Se non fosse, tuttavia, che tali risultati si sono potuti ottenere proprio grazie all'esistenza di un sistema di gioco legale e di una esperienza ormai consolidata nei processi di  accertamento degli illeciti e di controllo del territorio. Ma se il caso Black Monkey (il quale, peraltro, interessa solo in minima parte la materia del gioco, anche se è stato esaltato quasi esclusivamente per questi risvolti, sia pure minoritari) ha scioccato il paese e ottenuto grande visibilità perché affrontava un sistema criminale fortemente radicato in un territorio normalmente virtuoso come l'Emilia Romagna, idealmente estraneo alla Mafia, o comunque meno esposto rispetto ad altri territori, varrebbe la pena evidenziare come nella stessa regione si stiano adottando delle nuove norme che sono destinate a cambiare notevolmente la distribuzione del gioco. E nonostante lo scopo dei provvedimenti locali sia quello di tutelare la salute e l'ordine pubblico, la critica principale mossa da operatori ed esperti è che un impianto normativo fortemente restrittivo (e potenzialmente proibizionista) come quello realizzato da Regione e comuni del posto (e non solo), rischia di portare a una diffusione del gioco illegale, riportando alla luce il sistema degli anni Novanta, quando il gioco era illegale per definizione e gestito in larga parte proprio dalla criminalità. Tutto questo quando la stessa Commissione parlamentare Antimafia, nella sua recente Relazione, aveva chiaramente indicato come in presenza di infiltrazioni della criminalità organizzata soccorrono strumenti più incisivi, visto che la criminalità si insinua laddove regna scarsa capacità di controllo e di repressione dello stato. Soffermandosi proprio sul mercato del gioco perché  appetibile alle organizzazioni criminali, e per tale ragione – come ricordato su qeuste pagine dal legale Chiara Sambaldi - “necessita di una cortina di protezione particolarmente forte che vada ad includere tutti i livelli di operatività e che consenta di intercettare con prontezza tutti quei fenomeni illeciti apparentemente di lieve entità ma che possono celare ben diverse realtà ed intenti criminosi”.
Che dire, poi, delle celebrazioni di Roma, da parte delle Forze dell'Ordine, Europol e Consiglio d'Europa, insieme ai delegati dell'Uefa, che hanno elogiato “la best practice attuata in Italia” per il contrasto delle frodi sportive che passa per “la joint venture pubblico/privato” che mette in relazione forse di polizia, Figc, leghe calcio, società sportive e società di betting, in una “joint venture pubblico/privato", che, a detta del capo , “può divenire anche in Europa, un modello di contrasto efficace per la lotta al match fixing”. Esaltando, nuovamente, le virtù del sistema del gioco pubblico, visto che il monitoraggio degli eventi  sportivi passa per quello della rete di scommesse legali. Un progresso notevole nel lavoro di intelligence e nella prevenzione e contrasto dell'illegalità, che verrebbe certamente minato alle fondamenta nel caso in cui venisse smantellata l'attuale rete di gioco pubblico, anche semplicemente in virtù dell'introduzione di restrizioni geografiche ed orarie previste su vari territori, visto che la compressione dell'offerta di gioco lecito, non essendo accompagnata dalla riduzione della domanda, rischia soltanto di portare alla sostituzione tra prodotti legali ed illegali. In barba ai progressi di questi ultimi anni: che già oggi non sono abbastanza, e figurarsi quale involuzione registrerebbero nei prossimi anni se lo scenario dovesse seguire il trend attuale intrapreso dagli enti locali. Tutto questo per evidenziare i rischi - e non solo i paradossi – legati a una legislazione non attenta sulla materia del gioco. Che non vuol dire, si badi bene, di lasciare tutto com'è oggi o di evitare una riduzione (e i nostri lettori abituali conoscono la posizione di questa testata che da anni invoca una riorganizzazione del gioco pubblico che risulti sostenibile sotto tutti gli aspetti). Anzi. Il punto, piuttosto, è di non prescindere da tutti questi aspetti e dalle esigenze di controllo e sicurezza che la regolamentazione dell'offerta ha saputo garantire. Ciò significa che il grido di allarme lanciato a gran voce dagli Enti locali deve essere ascoltato e non soffocato dallo Stato, traducendolo in  norme concrete ed efficaci. Ma la discussione deve essere affrontata in maniera aperta, senza pregiudizi né ideologie, come troppo spesso avviene nella dialettica dell'eterna 'Questione territoriale'. Perché in ballo c'è il futuro del paese. La nostra salute e, appunto, la tutela dell'ordine pubblico. Per la quale non bastano distanze né limiti di orario.

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