skin

Quando l'utopia (o il populismo) si scontra con la realtà

06 marzo 2017 - 11:16

Quando i primi nodi della 'Questione territoriale' iniziano a venire al pettine, arrivano le grane per gli enti locali che promettevano l'espulsione del gioco.

Scritto da Alessio Crisantemi
Quando l'utopia (o il populismo) si scontra con la realtà

 

Ormai lo diciamo da tempo. La scomparsa del gioco (legale) dal territorio è una misura non solo pericolosa ma anche decisamente inattuabile. Pericolosa per via delle inevitabili ricadute che comporterebbe in termini di illegalità, regalando campo libero alle offerte di gioco illecite che già oggi sono presenti sul territorio nazionale e chissà quale diffusione potrebbero assumere in caso di smantellamento del circuito legale, in un Paese che certo non brilla per i risultati in termini di controllo del territorio e di contrasto all'evasione (e ciò vale in generale, non soltanto per quanto riguarda il gioco pubblico dove, al contrario, si registrano i risultati migliori in termini di recupero del sommerso).
Inattuabile, perché lo smantellamento di un'intera industria, dopo che la stessa è stata costruita, sviluppata e consolidata nel corso degli ultimi quindici anni e anche di più, comporterebbe degli scompensi talmente rilevanti in termini di entrate e di occupazione - in un Paese già affetto da tassi spaventosi di indigenza – da rendere decisamente impercorribile tale soluzione.

 

È quindi evidente che chi promette un risultato di questo tipo, o insegue un ideale puramente utopistico, oppure sta alimentando una sorta di campagna elettorale, di stampo prettamente populista, basata sulla presunta tutela dei cittadini. In entrambi i casi, comunque, si sta promettendo qualcosa che non si potrà mai mantenere. Senza contare, poi, che i risultati non sarebbero neppure quelli auspicati (o millantati, in base al primo o al secondo caso sopra citati), visto che dalla scomparsa del gioco legale non ci sarebbero certo miglioramenti in termini di tutela dell'ordine pubblico né tanto meno di salvaguardia della salute, ma soltanto un azzeramento delle entrate erariali che non coinciderebbe con quello della spesa degli italiani al gioco. Con una riduzione della spesa che potrà pure esserci, grazie a una minore esposizione e a un'offerta meno "visibile", ma che sarà accompagnata dalla migrazione della restante quota di denaro investita dagli italiani dal circuito di Stato a quello illegale, generando ulteriore "nero" e alimentando, probabilmente, le casse della criminalità.
 
Qualunque sia lo scopo a monte di tali prese di posizione, il risultato non potrà che essere quello di cancellare l'offerta di Stato. Nei territori in cui sono state attuate le prime misure definite "anti-gioco-lecito", i nodi stanno già venendo al pettine, al punto che i divieti imposti dalle Regioni cominciano ad essere messi in discussione, su vari fronti. Accade nei tribunali, dove in più di un caso i giudici amministrativi (e, in genere, quelli del Consiglio di Stato) hanno voluto approfondire la materia rendendosi conto dei possibili danni che si configurano alle aziende e delle evidenti restrizioni alla libertà di impresa che lo Stato deve comunque tutelare (specie se le imprese in questione offrono un prodotto in nome e per conto dello stesso Stato, come nel caso del gioco pubblico), e accade anche all'interno delle stesse amministrazioni locali, che giunte alla resa dei conti, iniziano a rendersi conto della portata delle proprie disposizioni, forse non del tutto considerate in fase di emanazione.
 
Così a Genova e in Liguria più in generale, dove stanno per scadere le autorizzazioni per l'apertura delle sale da gioco sul territorio, rendendo impossibile il rilascio di nuove licenze in virtù delle norme locali, iniziano a palesarsi i rischi di una situazione di questo tipo. E lo stesso potrebbe accadere negli altri territori dove è previsto lo 'switch-off' del gioco legale nei prossimi mesi.
 
Per questo diventa sempre più necessario trovare un punto di incontro tra le esigenze degli enti locali e quelle dello Stato centrale sulla regolamentazione del gioco, per un accordo che – come scriviamo da tempo su queste pagine – serve forse più alle Regioni che al Governo, tenendo conto dei possibili risvolti sul territorio. Ma ciò non significa, vogliamo ribadirlo, che gli Enti abbiamo sbagliato a sollevare un problema e a sensibilizzare l'Esecutivo e l'opinione pubblica su un disagio di cui si sente comunque la necessità di intervenire. Né tanto meno (e ci mancherebbe altro) che il Governo dovrà intervenire nel ripristinare la Riserva di Stato sul gioco senza tenere minimamente conto di queste prese di posizione. Tutt'altro.
La 'battaglia' portata avanti da primi cittadini e rappresentanti regionali ha avuto il merito – che va riconosciuto – di portare alla luce un disagio diffuso e una mancanza di sostenibilità nell'attuale assetto e distribuzione del gioco sui territori. Un aspetto di cui il Governo deve necessariamente tenere conto, come deve, evidentemente, iniziare a fare i conti – letteralmente – con qualche rinuncia, in termini di entrate erariali provenienti da questo settore. Iniziando a ridurre fin da subito l'offerta, e preoccupandosi di attuare una rete di interventi seri e concreti in termini di prevenzione, per riuscire nell'obiettivo di dissuadere i giocatori problematici dal continuare a spendere denaro, e magari convincendo anche gli altri giocatori comunque non problematici, che esistono anche altri passatempi e modi di intrattenersi che non comportano rischi. Magari attingendo, su questo fronte, proprio dalle iniziative messe in atto in questi mesi dagli enti locali, che si sono comunque spesi in vari modi per provare a mettere in piedi campagne di prevenzione, spesso anche efficaci. È qui che potrebbe (e dovrebbe) instaurarsi una sinergia tra lo Stato centrale e le sue diramazioni territoriali, scrivendo la parola 'fine' sulla Questione Territoriale e aprendo una nuova fase politica, che vada nella direzione auspicata da tutti. Visto che l'obiettivo comune, tra Stato, industria e ed enti locali, è quello di rendere il gioco sostenibile, sotto tutti i punti di vista. Quello che cambia, magari, è il mezzo suggerito per raggiungere il nobile fine. Ma del resto, la politica, non consiste proprio nell'arte della mediazione?
 
 

Articoli correlati