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Alla ricerca di un sistema virtuoso, per tutti

03 aprile 2017 - 07:43

Sconfiggere l’illegalità è un obiettivo comune e generale. Nel gioco, però, occorre fare meglio e di più: dalla politica all’industria.

Scritto da Alessio Crisantemi
Alla ricerca di un sistema virtuoso, per tutti

 

Il 93 percento degli italiani percepisce il pericolo del gioco illegale. E’ il dato che ci è stato consegnato dall’indagine commissionata dal Siipac (l’organismo che si occupa de recupero dei giocatori patologici) e realizzata dall’Istituto Quaeris, presentata nei giorni scorsi a Roma. Se la relazione del Comitato Infiltrazioni criminali nel gioco lecito e illecito della Commissione Antimafia aveva certificato, già la scorsa estate, che l’illegalità nel comparto è da ritenere "un pericolo reale", la ricerca di Quaeris rivela oggi come tale pericolo sia ormai percepito anche dalla popolazione, assumendo quindi una dimensione diversa e più generale. Un fatto che consente di attendere dei benefici in termini emersione, con la sempre maggiore diffusione di questa consapevolezza. Rimane tuttavia da chiedersi cosa stia facendo davvero (o, almeno, programmando di fare) lo Stato, attraverso il Governo, proprio sul fronte del contrasto alla illegalità.

 

In questi mesi, è evidente, si vanno moltiplicando le notizie di indagini nei confronti del gioco illecito dalle quali emergono spesso infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore. I giocatori (di qualunque tipologia essi siano: fisiologici, problematici o patologici) che si rivolgono alle offerte illegali di gioco disponibili sul territorio, sono esposti a rischi che travalicano quelli del disturbo da gioco d'azzardo, rispetto ai quali l'illegalità e la criminalità hanno interesse ad incentivarne ovvero a gestirne gli effetti.
 
Nel frattempo il mercato del gioco legale patisce la concorrenza sleale del mercato illecito, guardando tuttavia questo mondo parallelo con attenzione, per lo sviluppo di quel business "libero da orpelli" che, nel tempo, ha spesso dettato i tempi della cosiddetta "liberalizzazione dei prodotti di gioco all'interno del sistema regolato" delle concessioni statali.
Se il mercato legale degli apparecchi da intrattenimento nasce dalle ceneri del mercato illegale dei videopoker ed è stato caratterizzato da una vera e propria conversione degli operatori del settore, quello del Betting nazionale, ovvero il segmento delle scommesse sportive, nasce dall'esigenza di far emergere il diffuso fenomeno delle scommesse clandestine sugli eventi sportivi - in primis le competizioni calcistiche - e si diffonde attraverso la rete dei "pochi" concessionari noti come "storici" e così indicati per aver contribuito a fondare il sistema legale della raccolta delle scommesse su eventi ippici e sportivi.
 
È quindi forse da considerare una questione praticamente “genetica” il differente approccio registrato negli anni dai principali operatori del settore rispetto al contrasto alle forme di illegalità diffuse. Denunciare i fenomeni illeciti e collaborare fattivamente con la magistrature e le forze dell'ordine per chiarire e supportare le autorità preposte - prima nella comprensione della complessa normativa vigente in materia, e poi nella efficace applicazione della stessa - sembra rientrare nella categoria di quei comportamenti virtuosi che non hanno benefici in termini di effetti mediatici, o comunque non paragonabili a quelli derivanti dalla comunicazione di opere di restauro di beni di valore artistico o di iniziative a supporto dei giovani nella formazione scientifica e specialistica. Eppure, apprendiamo dagli addetti ai lavori, che la magistratura inquirente non è un'entità "chiusa" e "impenetrabile" alle istanze di tutti coloro (privati e società) che si ritengono lesi dai fenomeni illeciti.
 
Collaborare si può e, per i concessionari dello Stato, si deve, in ragione della qualità di incaricati di un pubblico servizio. In più occasioni, come riferiscono diverse fonti legali, i pubblici ministeri hanno apprezzato e richiesto il contributo tecnico-giuridico dei concessionari. Ma quella del supporto alla magistratura continua ad essere un’attività il cui valore non è di immediata e agevole percezione, in particolare per chi ritiene che la giustizia debba fare il suo corso, rimanendo a guardare quale spettatore qualificato ma disinteressato, come se la tenuta del sistema legale non fosse affar proprio, e come se lo sviluppo e il diffondersi delle illegalità non rappresentasse un grave elemento di impatto negativo sulla raccolta e quindi sui risultati economici delle società di gioco.
 
Lo Stato dovrebbe, quindi, farsi parte diligente, dotandosi degli strumenti necessari per contrastare efficacemente le forme di illegalità nel settore, come peraltro evidenziato dal Comitato della Commissione Parlamentare Antimafia, pretendendo però da tutti gli operatori autorizzati una collaborazione che consenta di raggiungere l'ambizioso obiettivo di contribuire ad una maggiore certezza della normativa di settore, a beneficio di un perimetro certo del mercato legale che rappresenta il più importante presupposto di deterrenza per il diffondersi di ogni forma di illegalità.
 
Per costituire tale sistema virtuoso nel settore (o, meglio, per estendere a livello generale quei meccanismi di questo genere che già esistono, come accennato, sia pure in netta minoranza) è però evidente che occorre prima superare quei limiti ideologici e tutti i pregiudizi ancora oggi assai diffusi tra le istituzioni, che continuano ad affliggere il comparto e a condizionare la trattazione della materia, sui banchi dei consigli comunali e regionali prima ancora che in Parlamento. Lo abbiamo visto in questi anni, con l’esplosione della “Questione territoriale” che ha reso il gioco pubblico una sorta di campo minato sul territorio nazionale, creando una serie di “zone calde” all’interno delle quali gli operatori non possono affacciarsi. Figuriamoci, dunque, se in quegli stessi territori si può anche solo pensare di proporre un percorso comune, tra Stato e industria, per il raggiungimento di quel meccanismo virtuoso di cui parlavamo.
 
Lo abbiamo visto e sentito in maniera chiara lo scorso fine settimana, nella discussione del Consiglio regionale della Liguria dedicata al gioco pubblico, nel corso della quale è stata disposta la proroga delle autorizzazioni di gioco vigenti sul territorio che la legge regionale aveva dichiarato scadute. Con un provvedimento d’urgenza, improvvisato e inserito in un contesto “anomalo” (andando a riformare una legge contro la ludopatia all’interno della normativa urbanistica), per scongiurare l’esplosione di un fenomeno che avrebbe causato danni enormi al tessuto industriale locale, con conseguenze inevitabili a livello economico, occupazionale e quindi anche sociale. Con un dibattito, tra maggioranza e opposizione, che messo in evidenza tutti i pregiudizi e le ipocrisie che ancora oggi governano e condizionano la visione del comparto e la sua regolamentazione.

Dalla stessa indagine citata in premessa, per contro, è emerso anche che l’85 percento degli intervistati ritiene molto più importante contrastare l’illegalità invece di arginare l’offerta lecita. A quanto pare se ne stanno accorgendo tutti, verrebbe da dire, ma non le regioni, che continuano a legiferare “contro” il gioco legale. Ma la “colpa”, diciamola tutta, non è certo degli amministratori locali se si è giunti a questa situazione, con i territori spesso costretti ad intervenire in ruolo di “supplenti” dello Stato per provare a governare un fenomeno, come quello del gioco, che appariva ai loro occhi ingovernabile.
E’ quindi opportuno che tutti facciano un passo avanti nei confronti di una battaglia contro il dilagare del gioco illecito che deve rappresentare un obiettivo comune e generale, per Stato (in tutte le sue declinazioni), industria e cittadini. Concentrando gli sforzi nella costituzione di un mercato sostenibile e, appunto, virtuoso nella lotta all’evasione e alla criminalità. L’obiettivo non è utopistico e può essere davvero raggiunto, nonostante la strada appaia ancora oggi decisamente in salita.
 
Segnali di schiarita arrivano oggi da Torino, dove la situazione del comparto è decisamente analoga a quella della Liguria, ma con l’enorme differenza che a muoversi, su questo fronte, sembra essere l’intera industria (una volta tanto, forse, davvero compatta), riuscendo ad ottenere l’attenzione di politica e istituzioni, com’è evidente dal confronto al Museo dell’Automobile divenuto una sorta di Assemblea pubblica dedicata alla Questione territoriale. Per scongiurare la “fine del gioco lecito” annunciata in Piemonte per il prossimo autunno e temuta da molti a livello generale nel prossimo futuro. Un confronto aperto dal quale, si spero, potranno nascere punti di contatto verso la creazione di quel sistema virtuoso di cui il Paese, e non solo l’industria, ha davvero bisogno.
 
 

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