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Questione territoriale e questione industriale

02 maggio 2017 - 08:58

Tra i problemi sul territorio e quelli di carattere fiscale, il gioco pubblico rischia il collasso.

Scritto da Alessio Crisantemi
Questione territoriale e questione industriale

 

E pensare che il gioco pubblico contava sull'intervento del governo per risolvere una situazione di crisi generale - dovuta al conflitto con gli enti locali e alla cosiddetta "Questione Territoriale" - che rischiava di compromettere seriamente il futuro del comparto e l'attività della sue imprese. Almeno fino a qualche mese fa. Come pure, del resto, anche le Regioni e i Comuni attendevano risposte dallo stesso Esecutivo - seppure sul fronte opposto - chiedendo e auspicando misure fortemente restrittive di carattere nazionale che limitassero l'esercizio dei giochi e la loro distribuzione. Invece, niente di tutto questo è accaduto: con il governo che è riuscito a tradire tutte le aspettative che si erano create attorno al mercato dei giochi, sia dal punto di vista imprenditoriale che da quello istituzionale. Dando vita a quella che potremmo ora definire una "Questione Industriale": ovvero, generando il rischio di scomparsa dell'intero settore.

Confutando, di fatto, le presunte "buone intenzioni" con cui intendeva sedersi al tavolo di confronto costituito sulla materia in Conferenza Unifica, confidando in un accordo con gli enti locali, e affossando ogni speranza di cambiamento nelle imprese che chiedevano soltanto di poter avere un futuro certo, invece di ritrovarsi, come accade oggi, in balìa di norme estemporanee e decisamente eterogenee sul territorio. Sì, perché, come abbiamo già evidenziato la scorsa settimana, la decisione assunta dall'Esecutivo attraverso la cosiddetta  "manovra-bis", è stata quela di rifarsi ancora una volta sul settore dei giochi nel ricercare nuove risorse economiche per il prossimo triennio, in modo da poter risultare in grado di far fronte agli impregni assunti di fronte alla Commissione Europea mirati a ridurre il debito pubblico. In un vero e proprio gioco d'azzardo operato dal governo, visto che la decisione è stata presa ignorando completamente i rischi evidenziati non solo dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che in qualità di regolatore del comparto aveva segnalato l'impossibilità di intervenire ulteriormente sulla tassazione degli apparecchi, ma anche - addirittura - dalla Corte dei Conti (organo storicamente tutt'altro che "sensibile" alle questioni legate all'industria dei giochi), che aveva lanciato un allarme sull'ipotesi di ritoccare nuovamente le aliquote di questo settore. Ma nonostante tutto, la manovra è stata approvata. Anche se, aggiungiamo, tutti gli indicatori economici e statistici sono d'accordo nel dire che il trend del mercato non è da considerare in crescita e per tale ragione le maggiori entrate ipotizzate dal governo non troveranno riscontro. Per una manovra, pertanto, che porta un comparto economico in una situazione di estrema crisi, senza pure ricavarne dei benefici. E finendo pure col far saltare ogni possibile trattativa con gli enti locali visto che l'aver messo a bilancio per il prossimo triennio le entrate dai giochi, è un argomento difficile da conciliare con la promessa di ridurre le giocate degli italiani che lo stesso governo si era impegnato a perseguire.
Ecco quindi che lo scenario futuro del comparto appare tutt'altro che chiaro, e comunque decisamente compromesso. Le imprese che lavorano in questo settore, com'è inevitabile, non possono rimanere in silenzione assistendo al declino delle proprie attività ex lege, soprattutto quando la stessa manovra ha evitato di toccare molti altri comparti dell'economia nazionale che nonostante l'emergenza sono usciti ancora una volta immuni da aumenti. Con reazioni di vario  tipo. Sistema Gioco Italia - la Federazione del gioco di Confindustria - ha deciso di chiedere l'apertura di un tavolo di crisi al Ministero dello Sviluppo Economico, supportata (questa volta) dai vertici di Viale dell'Astronomia, denunciando come il settore degli apparecchi da intrattenimento sia il più tassato in Europa e nel Mondo ed evidenziando, soprattutto, come ci fossero delle alternative a questo ulteriore "salasso" per la filiera. L'associazione Sapar, invece, ha optato per la piazza, convocando una manifestazione a Montecitorio per denunciare l'insostenibilità della manovra e i rischi per le imprese. Tutto questo mentre da Palazzo Chigi e dal Ministero dell'Economia si continua a parlare di "possibile intesa" con gli enti locali. Per un'autentica beffa, che si aggiunge a un evidente danno.
Questa volta, in effetti, la situazione è particolarmente grave e la soluzione non sembra neppure essere a portata di mano. Chi ha buona memoria ricorderà un precedente simile, unico nella storia del settore, del 2010, quando l'allora governo Berlusconi intendeva incrementare in maniera più che significativa il prelievo erariale sugli apparecchi e la filiera, che rischiava di finire a terra da un intervento di questo tipo, scese per la prima volta in piazza convocando un tavolo di crisi. Ottenendo, quella volta sì, un risultato concreto, con l'allora Sottosegretario all'Economia, Alberto Giorgetti, che tirò fuori dal cilindro una soluzione che risultò ideale per tutti: sia per il governo che per la filiera. Istituendo cioè un meccanismo di premialità sul Prelievo delle slot, in grado di concedere un bonus alle imprese in caso di aumento della raccolta rispetto a uno standard prefissato, che intendeva incentivare il processo di emersione (e non di  coinvolgimento di nuovi giocatori), come poi avvenne. Un sistema che diede notevoli benefici e che fu accolto con soddisfazione da ogni fronte, scongiurando la situazione di crisi e riuscendo a interrompere la protesta degli operatori (salvo poi essere stato cancellato qualche anno dopo dai successivi governi). Stavolta però i tempi sono ben diversi e la situazione molto più compromessa: soprattutto perché, stavolta, la manovra è già scritta, approvata ed in vigore, con il nuovo prelievo erariale già da conteggiare in queste ore. E se il meccanismo di premialità può apparire oggi superato o comunque non applicabile alla situazione (soprattutto politica) del momento, questa volta la soluzione poteva essere rappresentata dall'introduzione della tassazione sul margine o da qualunque altra soluzione che avrebbe potuto portare veri benefici economici ma senza mettere in crisi le imprese. Invece si è preferito andare per le vie brevi, senza curarsi delle conseguenze, né delle raccomandazioni. Ma correndo un rischio immane, su tutti i fronti. E se non è azzardo questo.

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