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Gioco pubblico: questione di feeling (e di dati)

28 agosto 2017 - 09:47

Le questioni che ruotano attorno al mercato del gioco sembrano essere le stesse in tutti i paesi: quello che cambia, però, è l'approccio.

Scritto da Alessio Crisantemi
Gioco pubblico: questione di feeling (e di dati)

 

Tutto il mondo è paese, si sa. Così siamo soliti dire ogni volta che riscontriamo similitudini nei comportamenti tra diversi popoli e nazioni. E lo stesso si potrebbe dire per quanto riguarda le dinamiche legate al cosiddetto “gioco d’azzardo”. Vale per la propensione e le attitudini dei giocatori, ma vale anche per le reazioni suscitate tra il popolo (costituito, evidentemente, in buona parte dagli stessi giocatori), come pure tra i politici e sui media. E’ evidente leggendo le cronache quotidiane dei vari paesi nei quali il mercato del gioco è stato regolamentato, dove emergono sistematicamente movimenti di protesta contro la “legalizzazione dell’azzardo” che tentano di frenare il processo legislativo o di reprimerne e limitarne gli sviluppi una volta che il mercato si è andato consolidando nel tempo. Per un ulteriore fattore comune che può ravvisarsi tra diversi paesi europei e del mondo più in generale. Sia pure con sfumature diverse e con caratterizzazioni dovute alle specificità dei territori o delle culture del posto.

Un fenomeno, anche questo, che varrebbe la pena studiare e approfondire, allo scopo di ricavarne benefici e sviluppare nuove “best practices”, come si dice in questi casi, da attuare nei rispettivi paesi e settori. Nonostante si riveli altrettanto interessante valutare anche le altre similitudini che si riscontrano nei paesi in cui il gioco non è stato ancora regolamentato (per esempio, la diffusione dell’illegalità e, quindi, di economie sommerse molto floride e in totale assenza di tutele per i giocatori), è opportuno soffermarsi ora sui tratti che accomunano la situazione attuale attraversata dal nostro paese – e dalla nostra industria del gaming – a quelle degli altri mercati più sviluppati. Su tutti: Regno Unito e Spagna. Nella penisola iberica, che continua a rivelarsi una terra molto più “liberale” e meno soggetta a speculazioni ideologiche sul tema del gioco d’azzardo (pur essendo comunque un paese dalla moralità diffusa, non c'è dubbio), il tema del gioco patologico è un fenomeno che viene affrontato e gestito da sempre, con una serie di attività, politiche, sanitarie e istituzionali in genere (si pensi alla possibilità di curarsi in strutture pubbliche o alla possibilità di autoescludersi dai centri di gioco, esistenti da anni), mirate a minimizzare i rischi nella popolazione e a fornire risposte in caso di necessità. Con il supporto di alcune politiche di gioco responsabile e con un'attività di prevenzione, che coinvolge attivamente l’industria. Anche in Regno Unito, dove la regolamentazione del gioco risulta tra le più avanzate del mondo, il problema del gioco patologico viene affrontato con particolare concretezza, nonostante negli ultimi i tempi si stiano susseguendo (e rafforzando) numerosi movimenti di protesta che trovano oggi riscontro anche in Parlamento, dove non a caso esiste una richiesta trasversale di intervenire per limitare la diffusione dei giochi e, in particolare, quella delle Fobt: gli apparecchi da intrattenimento “più spinti” rispetto alle normali slot machine e analoghi alle nostre Vlt. Eppure, anche qui, le differenze rispetto al nostro paese sono varie e piuttosto evidenti. Tutte però riconducibili all’approccio che viene applicato nei confronti del gioco, in generale. Sia dal punto di vista politico e industriale, ma anche nella protesta e, quindi, nella normale dialettica che contraddistingue il dibattito sul fenomeno. Tanto per cominciare, in Spagna come in Regno Unito, il regolatore del mercato (la Dirección General de Ordenación del Juego nel primo caso e la Gambling Commission nell’altro) viene visto (e rispettato) come un’Autorità, nel senso più ampio del termine. Essendo emanazione diretta del governo e, quindi, autentico rappresentante dello Stato. Cosa che molto spesso non accade nella Penisola dove, al contrario, viene troppo spesso messa in discussione la parola del regolatore se non addirittura il ruolo, con una serie di attacchi, più o meno sistematici, provenienti da ogni dove, quando si tratterebbe in realtà di un mero organo tecnico, con il compito di attuare le disposizioni legislative emanate da governo e parlamento (e non di emanarle) e di garantirne il rispetto da parte degli operatori, attraverso l’attività di controllo. L’altra grande differenza, tuttavia, sta nella ricerca e utilizzo dei dati. Se, in Regno Unito (e in maniera analoga accade in Spagna), di fronte a un problema o una rivendicazione, vengono chiesti, prodotti e analizzati dei dati in modo da poter studiare e valutare seriamente un determinato fenomeno, in Italia ancora oggi continuiamo a parlare (e a ragione, sia chiaro) di dipendenza come un fenomeno dilagante, ma senza che sia stato ancora oggi condotto uno studio epidemiologico ufficiale, di livello nazionale e di adeguata rappresentazione, con l’ultimo studio che risale al 2007, cioè dieci anni fa. Quando non esistevano anche le videolotterie e tante altre forme di gioco.
In Regno Unito, comunque, la Gambling Commission ha appena pubblicato i dati aggiornati sulla diffusione del Gap sul proprio territorio; dopo due anni di indagini, allo scopo di inquadrare correttamente il fenomeno. E una volta analizzato adeguatamente la situazione, ha chiesto interventi concreti (e rapidi) all’industria, che può e deve fare di più. Anche se la diffusione del gioco a livello problematico risulta rimasta costante nell’ultimo periodo: ma comunque non è diminuita, mentre questo dovrebbe essere l’obiettivo comune. In Italia, invece, si continua a parlare di questo tema in maniera parziale, frammentaria, incompleta. Ricordando, come è giusto, la gravita del problema, ma senza avere la capacità di individuare i giusti strumenti di intervento per limitarne la diffusione. Perché se è non solo giusto, ma anche doveroso, fornire risposte di fronte al disagio sociale che può essere generato dalla diffusione del gioco, è pure evidente che la riposta dello Stato non può essere la stessa in caso di diffusione estremamente limitata della patologia o di massiccia prevalenza nella popolazione. Per questo, pur continuando ad apparire assurdo, inaccettabile e incoerente rispetto alle politiche che il governo spiega di voler perseguire ormai da anni contro la diffusione delle dipendenze, è da accogliere con particolare favore l’attività di indagine commissionata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli all’Istituto Superiore di Sanità sul gioco patologico, dalla quale si attendono numeri certi e, soprattutto, risposte concrete da parte del Legislatore. Anche se bisognerà aspettare ancora qualche mese per conoscere il risultato, che arriverà soltanto ad anno nuovo, ma pur sempre prima di quanto fatto dallo Stato e dai governi che si sono susseguiti nel tempo, preoccupandosi solo a parole del problema. O, comunque, senza alcuna fretta. Ma molto meglio tardi che mai.

 

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