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Maxi penali new slot: come andrà a finire? Intanto, non si dimentichi come tutto è iniziato

20 febbraio 2012 - 09:26

La vicenda delle maxi sanzioni è ormai nota a tutti. Anche se, al di fuori del settore, è spesso vista in un'ottica più 'sensazionalistica' e inevitabilmente decontestualizzata rispetto a quella che era la realtà del settore, in quel particolare momento storico. E' sempre bene ricordare la situazione che, all'epoca, si trovava ad affrontare il settore del gioco pubblico: era il 2004 e lo Stato aveva appena avviato l'esperimento di quella che diventerà poi la più grande rete di slot machine al mondo, capace di riunire centinaia di migliaia di apparecchi da intrattenimento (oggi, quasi 400mila) sotto il controllo diretto del fisco attraverso la rete gestita da Sogei per i Monopoli di Stato. Una rete che, tuttavia, ha stentato non poco a partire per via di vari motivi, per lo più, come dimostrato, di carattere infrastrutturale; e solo chi operava in questo settore ricorderà i tanti problemi per il tracciamento delle reti, che ha coinvolto gli operatori di telefonia e varie società informatiche.

Scritto da Alessio Crisantemi

Sta di fatto però che la convenzione di concessione stipulata dai concessionari di rete con lo Stato prevedeva una voce 'sanzioni' per il mancato collegamento di ogni apparecchio alla rete a partire da una certa scadenza: multe che erano state stimate, addirittura, in 50 euro ogni ora di connessione mancata per ogni macchina da gioco. La ratio, ovviamente, era quella di scoraggiare anche minimamente le società a lasciare scollegate le macchine e sollecitarne pertanto la messa in rete. Salvo poi ritenere, evidentemente, inapplicabili tali sanzioni col passare del tempo e con la rete che stentava a partire. Nessuno, tuttavia, si era preoccupato allora di andare a modificare quell'accordo (o, almeno, di proporne una revisione generale), che è rimasto pertanto in vigore e che ha portato, appunto, all'esplosione della 'bomba', nel 2007, quando la Commissione di indagine voluta dall'allora sottosegretario all'Economia, Alfiero Grandi - che riunì finanzieri e specialisti di informatica - andò a calcolare gli importi di queste sanzioni mai comminate ai concessionari, arrivando all'incredibile cifra di ben 98 miliardi, sfociando nello scandalo ormai popolarissimo e all'indagine della Corte dei Conti che è arrivata a giudizio la scorsa settimana.
Una vicenda che, com'era inevitabile, ha suscitato l'indignazione generale dei cittadini: in un'epoca in cui, ognuno di noi, si può imbattere in un pignoramento di beni per una semplice multa non saldata, non può certo passare inosservata la situazione di dieci società che omettono di pagare cifre così importanti, tanto più se queste non gli erano mai state chieste dallo Stato. E, cosa ancor più grave, se tali società non operano in un settore 'moralmente apprezzabile' agli occhi dell'opinione pubblica ma, al contrario, in un settore ancora oggi così malvisto come quello del gioco.
Poco importa, pertanto, se il caso fu ritenuto meritevole di attenzione da parte del Parlamento, del Tribunale amministrativo di competenza, oltre che della Corte dei Conti, portando a una revisione della convenzione di concessione che le stesse società avevano (e hanno ancora oggi) in vigore con Aams, introducendo dei “principi di ragionevolezza e proporzionalità”, suggeriti da una specifica risoluzione presentata in Parlamento dall'onorevole del Pd Rolando Nannicini.
Sta di fatto, però, che l'indagine è andata avanti, come è giusto che sia, con l'obiettivo di individuare le responsabilità: nonostante l'evidente impossibilità di poter considerare tali sanzioni realmente sostenibili da parte delle società, sarebbe stato senza dubbio grave, quanto imperdonabile, pensare a un possibile 'colpo di spugna' in grado di azzerare la situazione pendente delle dieci società. Ed è così che la strada che è sembrata meglio percorribile era quella di puntare a un rimodulazione di queste penali rendendole, almeno, realmente 'esigibili' dai concessionari. La Corte dei Conti ora ha deciso che l'importo complessivo da chiedere alle società è di 2,5 miliardi, ascrivendo delle responsabilità sul mancato introito anche nei confronti dei dirigenti dei Monopoli di Stato di quel tempo (in particolare, nell'allora numero uno e numero due di Aams). E, com'era inevitabile, all'indomani della sentenza sono arrivati i primi ricorsi da parte dei concessionari, che ritengono ancora oggi illegittima la richiesta in quanto “nessuna responsabilità di sorta è da attribuire alla condotta dei concessionari”. I quali - come sottolineato dalle difese - si trovavano a realizzare un servizio per conto dello Stato, e non 'contro' lo Stato. E, cosa ancor più importante – in quanto più volte dimenticata dai media generalisti nell'affrontare l'assai complessa materia – non si deve pensare a tali cifre come conseguenza di una sorta di evasione da parte delle società, né di alcun danno erariale, in quanto le stesse società, al contrario, versavano il Prelievo erariale anche per gli apparecchi non collegati alla rete sotto forma di forfait, come previsto dalla normativa: semplicemente, però, la stessa norma prevedeva delle sanzioni che non erano mai state erogate prima dell'esplosione della bomba e proprio su questa mancanza si era concentrata l'indagine. Ora, dunque, bisognerà vedere come andrà a finire la vicenda e se, sull'angusta materia, intenderà esprimersi nuovamente anche il Parlamento, tenendo conto che il verdetto della Corte contabile ha stabilito cifre senza dubbio più 'credibili' rispetto ai presunti 98 miliardi iniziali, ma si tratterebbe comunque di importi che potrebbero compromettere le società concessionarie. Il che significherebbe il crollo del comparto del gioco pubblico. E in un momento di crisi economica, è davvero impensabile di veder 'sparire' una delle principali fonti di reddito per la nazione, come di fatto si è rivelata tale industria nel corso degli anni. E oggi più che mai.

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