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As.Tro: "Gioco Illegale, l’evoluzione continua del fenomeno prepara il più tragico dei dejà vu"

09 luglio 2014 - 11:23

“Il 13 dicembre 2013 viene promulgata d’urgenza, e senza ammettere nessun tipo di confronto con la ‘parte datoriale’, una legge regionale che applica il distanziometro ad ogni tipologia di offerta di gioco con vincita in denaro”.

Scritto da Redazione
As.Tro: "Gioco Illegale, l’evoluzione continua del fenomeno prepara il più tragico dei dejà vu"

As.tro fa riferimento alla legge pugliese sul gioco. “Il fenomeno ‘pugliese’ è oggi ravvisabile come realtà in espansione in Lombardia, Alto Adige, Toscana, Abruzzo, Liguria, ma in tutto il Paese si sta affermando il dejà vu: a fronte di una ‘domanda’ di gioco che il ‘territorio’ possiede (o per meglio dire, da sempre esprime), l’offerta del servizio si sta sempre più spostando verso metodologie che consentono la clandestinità tributaria, l’esonero da autorizzazioni, imponendo l’inevitabile ingresso di ‘tutori dell’esazione degli incassi’ (fenomeno che oggi chiameremmo ‘raccolta’) dai modi risoluti e ‘spicci’.

 

 

L’evoluzione della tecnologia accelera i tempi e non fornisce nemmeno più l’antica evidenza ‘strutturale’ dell’antico videopoker degli anni ’90 (che almeno una scheda di gioco aveva dentro e le forze dell’Ordine potevano sigillare).

Nel bar, ma anche dal barbiere, nei centri massaggi, nei punti dedicati alla cucina d’asporto, nelle osterie di paese, nei bazar del low cost, troviamo ‘anonimi e non invasi’ monitor con tastiera, che nessuno può strutturalmente identificare come congegni per l’azzardo, ma che con un ‘furbo click’ diventano videoslot/videopoker ‘no limits’, sfruttando solo quella connessione internet che costituisce, spesso, l’unica tecnologia residente e periziabile all’interno della ‘macchina’ (che per tale ragione non possiede neppure un intrinseco valore apprezzabile).

Schiere di avvocati, tuttavia, scendono in campo non appena un Organo di controllo chiede ‘lumi’ sul congegno ponendo in essere un ‘controvalore’ di assistenza legale che solo un ‘fiorente business’ potrebbe giustificare.

Esattamente come nel 1995, quando ‘innocui videogiochi’ dal modesto valore e dall’irrisorio incasso (l’antica ‘reversale della Siae’) potevano vantare un network di avvocati pronti a esibire precedenti giurisprudenziali – perizie – pareri – asseverazioni – e quant’altro occorresse a sostenere ‘la strutturale’ legalità dell’oggetto. A questo punto viene spontaneo chiedersi come si è potuto sconfiggere il ‘business’ dei videopoker clandestini, o per meglio dire, cosa ne ha decretato la ‘sospensione di esercizio’ sino all’entrata in vigore dei ‘distanziometri regionali’.

La risposta è una sola: il circuito legale di gioco autorizzato e controllato, attraverso il quale lo Stato ha consentito la nascita di una industria e di un sistema amministrativo in grado di offrire una alternativa di legalità a tutti coloro che volevano ‘usufruire e offrire’ il prodotto gioco.

I pregi della ‘risposta’ hanno generato un settore economico che garantisce ‘200 mila busta paga’, e la relegazione a marginalità delle varie ‘inventive’ illecite. I difetti della ‘risposta’ hanno generato ‘il distanziometro’. Trovare la ‘via di mezzo’, ovvero un terzo modello, che non riproponga oggi lo scenario degli anni ’90 è un compito che oggi incombe sul Governo, la cui delega consegnatagli dal Parlamento gli permetterà di scegliere quale ‘risposta istituzionale’ dare agli italiani.

L’unica ‘perplessità’ che potrebbe insorgere in capo al ‘legislatore delegato’ attiene alla ‘rilevanza del fenomeno’, ovvero la eventuale convinzione che tale questione non ‘meriti’ tutto questo ‘sforzo’. I numeri depongono per l’interventismo.

La domanda di gioco censita nel 2000 (40 mila miliardi di vecchie lire incamerati dai vecchi videopoker), coincide esattamente con il controvare ‘attualizzato’ di 18,3 miliardi (spesa al gioco lecito) + i 23 miliardi di volume di affari del gioco illegale, censito dalla G.d.F. lo scorso autunno. Il ‘mercato’ quindi è oramai consolidato, e resta solo da ‘scegliere’ se lo Stato vuole assumersi l’onere di ‘tenere il banco’ (forte delle sue tutele che il controllo istituzionale può fornire all’utenza), oppure fronteggiare coi divieti un percorso di ‘rimozione culturale’ della domanda di gioco. Eticamente, la seconda opzione potrebbe anche condurre alla ‘beatificazione’ , ma concretamente genererà un diverso scenario: l’immissione di 40 miliardi di euro (annui) di (ulteriore) illecita ricchezza immessa nei patrimoni della criminalità e, ‘a cascata’, nel circuito dell’economia del Paese. Ci sono i mezzi per impedire la ‘sud-americanizzazione anni 60’ che un siffatto attacco generebbe sui fondamentali della ‘delicata’ realtà italiana?”.

 

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