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Cassazione: 'Giocate Lotto non versate, senza colpa non è peculato'

30 gennaio 2017 - 14:30

La Cassazione assolve dal reato di peculato continuato gestore di una ricevitoria che non aveva versato proventi giocate del Lotto per gravi motivi di salute.

Scritto da Fm
Cassazione: 'Giocate Lotto non versate, senza colpa non è peculato'

 

 

Il giudice territoriale ha "fatto luogo ad una indebita sovrapposizione fra capacità d'intendere e dolo del reato contestato, 'travisando totalmente le emergenze processuali', per non aver considerato come la condotta posta in essere dall'imputato - peraltro sostanziatasi in un mero ritardato versamento - fosse stata originata dalle vicissitudini personali che lo hanno reso invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 74 al 99 percento, e non certo dalla volontà del medesimo di sottrarsi all'adempimento dell'obbligazione a suo carico; del che si assume costituire riprova la constatazione del danno - e non certo del vantaggio - subito dal punto di vista economico, avendo il prevenuto corrisposto la somma dovuta all'Erario, con l'aggravio di interessi e sanzioni, ovviamente assolutamente rilevanti, come evincibile negli atti di causa".


Questa la motivazione con cui la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell'ex titolare di una ricevitoria contro la sentenza con cui la Corte di appello di Lecce, in riforma dell'assoluzione decisa dal tribunale di Lecce, lo aveva dichiarato colpevole del reato di peculato continuato, per essersi appropriato degli incassi di alcune giocate del Lotto effettuate nel 2009, pari a poco meno di 5mila euro.


I giudici della Cassazione ricordano che "Nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio
già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio".
 
"La sentenza impugnata è inficiata non già da un vizio di motivazione, bensì da erronea applicazione della
legge penale, per via della non inquadrabilità del fatto, così come ricostruito, in seno al paradigma criminoso proprio della figura del peculato, conformemente a quanto in precedenza statuito, sulle convergenti conclusioni rassegnate dal Pubblico ministero d'udienza e dalla difesa dell'imputato, dal primo giudice, nella cui pronuncia si sottolinea come il ricorrente, giusto nell'ottobre 2009, avesse dovuto 'far ricorso alla sedia a rotelle', per poi arrivare, dopo un periodo di affidamento della gestione dell'attività ad un dipendente, alla cessazione della stessa, ripresa solo a distanza di un anno, in concomitanza con il conseguimento di 'una nuova licenza' da parte della moglie", concludono i giudici.
 

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