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Riordinare le idee prima del comparto: ma il governo si avvita sul territorio

29 aprile 2024 - 11:21

Mentre l'industria del gioco pubblico chiede e attende il riordino del territorio, il governo pasticcia sull'autonomia differenziata, creando scompiglio che può ricadere anche sul settore.

Photo by form PxHere

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La Questione territoriale non riguarda soltanto il gioco pubblico. Anzi, a dire il vero, è il settore del gioco, in questo caso, a subire le conseguenze dirette di una condizione politica che scaturisce dalla lontana riforma del titolo V della Costituzione emanata nel 2001, durante la XIV Legislatura, con la quale veniva riconosciuta alle Regioni l’autonomia legislativa, ovvero la potestà di dettare norme di rango primario, articolata sui tre livelli di competenza: esclusiva o piena (le Regioni sono equiparate allo Stato nella facoltà di legiferare); concorrente o ripartita (le Regioni legiferano con leggi vincolate al rispetto dei principi fondamentali, dettati in singole materie, dalle leggi dello Stato); di attuazione delle leggi dello Stato (le Regioni legiferano nel rispetto sia dei principi sia delle disposizioni di dettaglio contenute nelle leggi statali, adattandole alle esigenze locali). 
Una riforma che ha portato, nel tempo, alla creazione di molteplici disparità sul territorio nazionale, specialmente tra Nord e Sud della Penisola, oltre a una serie di squilibri più generali, come appunto nel caso della gestione del gioco pubblico, dopo che a partire dal 2011 alcuni territori, ispirati dalla Provincia autonoma di Bolzano che ha assunto il ruolo di apripista, hanno iniziato a legiferare in modo indipendente, nonostante la Riserva di legge applicata al settore che vorrebbe la centralità delle scelte su questa materia. Anche se nessun governo ha mai osato formalmente rivendicarla. Fino ad arrivare al corto circuito istituzionale a cui abbiamo assistito fino ad oggi, e continuiamo ancora ad assistere, visto che neppure con l'avvio dell'iter della legge delega si è ancora intervenuti per superare questa insidiosa situazione. Raggiungendo addirittura il paradosso che oggi, a differenza di qualche anno fa, sono gli stessi amministratori locali che - oltre all'industria - chiedono al governo di intervenire, non sapendo più che pesci pigliare, dopo le attività legislative selvagge degli ultimi anni, a livello lolale.
Eppure, proprio mentre il governo ha avviato in questi mesi un (presunto) lavoro di riordino del territorio, portando (finalmente) il tema della regolamentazione del gioco pubblico sul tavolo di trattativa con le Regioni, cercando di trovare una mediazione (seppure da ritenere al ribasso, come abbiamo indicato su queste pagine), si ritrova ora a darsi la zappa sui piedi nel gestire una difficile e insidiosa partita - assai più ampia - che interessa i territori. Ovvero, quella dell'Autonomia differenziata, che si sta discutendo in queste ore in Parlamento, con le opposizioni che hanno provato a dare battaglia con una pioggia di 2.400 emendamenti in commissione alla Camera, incontrando anche qualche velata sponda da pezzi della maggioranza. Per un provvedimento che rappresenta un'autentica bandiera della Lega - nonostante nessuno nel centrodestra abbia presentato come da accordi proposte di modifica – attorno al quale si sta creando alta tensione anche tra le forze di governo. Tutto, ora, si gioca sui tempi d’esame, con l’appuntamento a giugno del voto europeo che incide sulla campagna elettorale dei partiti. Dopo la linea dettata dalla stessa premier Giorgia Meloni (“Sull’autonomia avanti con giudizio, il governo è l«ungi dal mettere pressione al Parlamento”) nei giorni scorsi il leader di Forza Italia Antonio Tajani aveva spiegato che “è importante che il dibattito sia ampio” anticipando un possibile slittamenteo dei termini per la votazione finale alla Camera, rispetto alla scadenza già fissata al 29 aprile. Anche se, alla fine, la maggioranza è riuscita a fare quadrato con la commissione Affari costituzionali di Montecitorio che è riuscita a concludere l’esame lo scorso fine settimana, cosentendo l'approdo in aula nei tempi previsti: seppure in extremis. Applicando perà la “ghigliottina”, essendo stati votati solo 80 emendamenti rispetto alle migliaia di proposte dell'opposizione, la quale definisce l'Autonomia differenziata “un provvedimento che distrugge l’unità del Paese”, come accusa il leader M5s Giuseppe Conte. 
Ma il rispetto della data del 29 aprile è da ritenere un atto quasi simbolico, non tanto per arrivare all’ok finale prima delle europee ma più che altro per garantire la sopravvivenza stessa dell’Autonomia. L’importante è in sostanza che il testo sia blindato perché l’eventuale approvazione di un emendamento comporterebbe il ritorno a Palazzo Madama in terza lettura e non solo implicherebbe lo slittamento del via libera finale dopo le europee ma potrebbe - si teme - compromettere del tutto l’ok al provvedimento.
Tensione alta, dunque, dentro e fuori al governo, e – soprattutto – tra il governo e i rappresentanti dei territori, che potrebbe creare seri problemi anche al comparto del gioco pubblico. Non tanto in modo diretto visto che (ad oggi) non risultano esserci interventi diretti relativi alla gestione del settore nel testo dell'Autonomia differenziata – quanto, piuttosto, in modo indiretto, andando cioè a inasprire i rapporti tra governo centrale e Regioni, andando ad interferire con le trattative oggi in corso relative agli altri provvedimenti, tra i quali, appunto, c'è anche quello sul riordino del gioco. 
Ecco quindi che il progetto di Autonomia differenziata potrebbe concludersi con il solito pasticcio all'italiana, come del resto già accaduto con l'antico disegno di Federalismo fiscale da cui la nuova legge trae ispirazione: per anni sbandierato e portato all'attenzione di vari governi, senza mai trovare spazio (e una vera volontà) di attuazione. Proprio come la questione territoriale del gioco pubblico, che non ha mai trovato una soluzione, negli ultimi 13 anni, e neppure una volontà di effettiva trattazione della materia.
 

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