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Tar: 'Limiti orari al gioco di Napoli ragionevoli e proporzionati'

16 aprile 2024 - 09:42

Il Tar Campania ribadisce la validità dei limiti orari al gioco introdotti dal Comune di Napoli, ricordando l’entrata in vigore nel 2020 di specifica normativa regionale, che di fatto ha reso superato il regolamento.

Scritto da Fm
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La legge regionale della Campania per il contrasto al gioco patologico  ha affidato tra l’altro ai Comuni la possibilità di dettare norme, perciò “la circostanza che l’autorità comunale, facendo applicazione della disposizione censurata, possa inibire l’esercizio di una attività pure autorizzata dal questore non implica alcuna interferenza con le diverse valutazione demandate all’autorità di pubblica sicurezza”.

Lo afferma il Tar Campania nella sentenza con cui respinge il ricorso collettivo presentato da alcuni operatori di gioco per l'annullamento delle ordinanze sindacali e del regolamento varati dal Comune di Napoli che fra l'altro hanno introdotto la rimodulazione, in via sperimentale, della disciplina degli orari di apertura e chiusura delle sale giochi autorizzate.

I giudici amministrativi partenopei sottolineano che “la norma regionale si muove su un piano distinto da quello del Tulps. Essa non mira a contrastare i fenomeni criminosi e le turbative dell’ordine pubblico collegati al mondo del gioco e delle scommesse, ma si preoccupa, piuttosto, delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, segnatamente in termini di prevenzione di 'forme di gioco cosiddetto compulsivo'”.

Inoltre, si legge nella sentenza, “Quanto alla pretesa sottrazione di competenze del sindaco da parte del consiglio comunale nel dettare specifiche disposizioni sull’orario di attività delle sale da gioco, poteri che secondo l’appellante sarebbero riservati esclusivamente al sindaco dall’art. 50 Tuel, deve osservarsi che il consiglio comunale non usurpato poteri sindacali, né invaso il campo proprio delle competenze di quest’ultimo, avendo piuttosto fissato delle direttive di carattere generale, ancorché molto specifiche, che lasciavano al sindaco un significativo ambito di autonomia circa la effettiva e concreta disciplina da fissare nelle singole situazioni.

Quanto alle lamentate doglianze di difetto di istruttoria anche in relazione alla limitazione negli orari di apertura delle sale gioco (che deve rimanere aperta almeno per otto ore al giorno senza limitazioni, laddove le parentesi di apertura stabilite dal Comune determinerebbero uno sviamento di tale clausola, poiché non si comprenderebbe la logica dell’apertura e della chiusura della sala giochi in determinati periodi della giornata, né quale possa essere il vantaggio per il cittadino 'fragile' nell’impossibilità di partecipare a determinati giochi come la tombola con cartelle o il Bingo, richiedenti tempi lunghi e aventi anche natura di semplice intrattenimento dell’avventore tipo anche per il pranzo), va ritenuta la censura infondata, così come ribadito dal Consiglio di Stato, che ha ribadito la proporzionalità delle misure adottate”.

 

Infine, conclude il Tar, “i provvedimenti impugnati, dunque, si pongono come necessario bilanciamento tra tutela della sicurezza, tutela della salute e interesse all’attività economica, laddove la maggior parte delle censure delle ricorrenti sono frutto di mere considerazioni soggettive dal momento proprio le modalità scelte con gli atti impugnati per la tutela dei contrapposti interessi in gioco costituiscono la miglior riprova del bilanciamento operato tra gli stessi, non essendo stata interdetta in modo assoluto l’attività economica, ma piuttosto non irragionevolmente limitata per tutelare la salute pubblica; del resto secondo la stessa previsione dell’invocato art. 41 Cost. la libertà di impresa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o non può arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

Le numerose censure sono quindi infondate in ragione dell’essere tutte imperniate sulla sproporzione di misure che, in concreto, risultano ragionevoli sia sul piano della legittimità che sotto quello costituzionale della tutela del diritto alla salute pubblica.

Peraltro, l’entrata in vigore nel 2020 di specifica normativa regionale rende di fatto priva di interesse l’odierna impugnativa, come dimostrato dalla circostanza che nessuna delle società ricorrenti ha svolto attività processuale da ben sei anni e una di esse (ma potrebbero essere molte di più) è anche fallita”.

 

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