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Cassazione: 'Nuovo giudizio su compravendita sala giochi spacciata per bar'

29 giugno 2016 - 11:23

Per la Cassazione serve un nuovo giudizio per dirimere la controversia circa la compravendita di una sala giochi spacciata per un bar.

Scritto da Fm
Cassazione: 'Nuovo giudizio su compravendita sala giochi spacciata per bar'


"Ai fini della sussistenza del delitto di truffa, non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte della persona offesa, dal momento che tale circostanza non esclude l'idoneità del mezzo, risolvendosi in una mera deficienza di attenzione spesso determinata dalla fiducia ottenuta con artifici e raggiri".


A ribadire il principio è la Corte di Cassazione che ha annullato la sentenza di assoluzione della Corte di appello di Catanzaro a beneficio di un uomo 'reo' di avere venduto ad un aspirante imprenditore una licenza per la 'gestione di sala giochi con annessa attività di somministrazione di alimenti e bevande' spacciandola per quella per 'l'esercizio di bar con annessa sala giochi e intrattenimento'.


Una differenza nascosta all'acquirente della licenza, a cui sottopone un "preliminare di vendita nel quale si insiste nell'indicare quale oggetto dell'azienda 'l'esercizio di bar con annessa sala giochi e intrattenimento' e non già il vero oggetto della licenza 'gestione sala giochi con annessa attività di somministrazione di alimenti e bevande')", ricordano i giudici nella sentenza.


"La cosiddetta truffa contrattuale - evidenziano ancora i giudici - ricorre in tutti i casi nei quali l'agente ponga in essere artifici e raggiri, aventi ad oggetto anche aspetti negoziali collaterali, accessori o esecutivi del contratto risultati rilevanti al fine della conclusione del negozio giuridico, e per ciò tragga in inganno il soggetto passivo che è indotto a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe prestato, a nulla rilevando lo squilibrio oggettivo delle controprestazioni. Inoltre, integra gli estremi della truffa contrattuale la condotta di chi ponga in essere artifizi o raggiri consistenti nel tacere o nel dissimulare fatti o circostanze tali che, ove conosciuti, avrebbero indotto l'altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto". E che il raggirato - se avesse conosciuto la differenza di cui sopra — "non avrebbe sottoscritto il preliminare di compravendita il Tribunale lo ricava dal fatto che dopo l'intervento della Polizia Municipale (che gli fa togliere l'insegna di bar e i tavolini posti all'esterno del locale proprio in base alla differente licenza in essere) egli si reca in Comune e appresa la notizia che effettivamente la licenza era diversa e poneva dei limiti si determina a non stipulare il contratto definitivo di compravendita e a richiedere al truffatore — senza successo — la restituzione della somma versata come anticipo. Il Tribunale, poi, dal comportamento complessivo dell'imputato ricava anche la sussistenza dell'elemento psicologico del reato. Inoltre, il Giudice di primo grado respinge la tesi difensiva del truffatore - secondo la quale il truffato avrebbe ben potuto e dovuto avvedersi del contenuto della licenza (che normalmente è affissa all'interno del locale nel quale ha lavorato per qualche mese) - evidenziando un altro consolidato principio di questa Corte: gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussistenza del reato di truffa contrattuale possono consistere anche nel silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle conoscere, indipendentemente dal fatto che dette circostanze siano conoscibili dalla controparte con ordinaria diligenza".
 
Da qui la decisione della Cassazione di far affrontare un nuovo giudizio all'imputato.
 

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