skin

Verona (As.tro): "Il ruolo delle rappresentanze nelle situazioni di crisi"

24 marzo 2015 - 16:53

“Ogni settore ha il dovere di non perdersi in ‘filosofie’ di carattere generale sul sistema – Paese. Sarebbe comodo, infatti, alzare le spalle e sostenere che il gioco pubblico, in quanto industria, non può che fare la stessa fine di tutto il resto dell’industria insediata in Italia.

Scritto da Redazione
Verona (As.tro): "Il ruolo delle rappresentanze nelle situazioni di crisi"

All’operatore non si può proporre il luogo comune secondo il quale l’unica impresa che in Italia ha tutela è quella della ‘furberia’, perché il compito della rappresentanza è quello di costruire un futuro, anche quando ‘sulla carta’ quel futuro non c’è”. Parola di Lorenzo Verona, del Comitato di presidenza As.tro.

 

 

“La crisi attraversa anche il modello ‘antico’ delle rappresentanze e attiene sia alla rappresentanza dei lavoratori, sia alla rappresentanza delle imprese. Le prime, consapevoli di non poter più difendere i diritti di tutti, si arroccano su privilegi per pochi. Le seconde si limitano alla ‘manutenzione’ di leve oramai guaste, quali il ‘costo e il mercato del lavoro, l’impulso agli investimenti pubblici, per le quali, ottengono, al più, qualche ‘tagliando’.

In questo scenario, il gioco pubblico sta rappresentando, invece, uno ‘spicchio’ di modernità assoluta, con merito delle associazioni di categoria che, nella consapevolezza dei ‘freni’ che il sistema Italia pone ‘al buon senso’, istruiscono gli operatori a due grandi linee di condotta: da un lato, l’esaltazione delle capacità operative delle aziende, dall’altro lato, la necessità di modellare l’azienda sul tipo di servizio che ha speranze di affermazione nel futuro. Questa è la differenza tra la difesa del ‘prodotto x’, che in quanto tale corre sempre il rischio di vedersi estinto, e la difesa dell’’azienda y’, il cui know how, teoricamente, può crescere ogni giorno su mille fronti, anche se di volta in volta asservito al ‘prodotto x’. Il gestore oggi rischia di essere sepolto, parliamoci chiaramente, da una duplice spirale: contrazione del mercato nell’immediato e scomparsa del ‘prodotto’ con cui opera dall’altro, esattamente come decine di distretti industriali sono già stati schiacciati dalla contrazione delle commesse e della ‘comparsa’ di prodotti alternativi.

Se si abbandona l’analisi, che oramai non serve più, la soluzione è legata solo alle capacità di gestione (e non contrasto) dell’evoluzione. Cosa rende il gestore di oggi un elemento indispensabile per il sistema di gioco del ‘futuro’ è l’unico grande tema su cui le ricerche associative e aziendali devono concentrarsi, cercando di aggregare i dati critici (il sistema concessorio con aspirazione autoreferenziale, la spinta riduttiva della distribuzione del gioco lecito, l’aspettativa erariale crescente), con i dati opposti (l’elevata concorrenzialità, l’esigenza del controllo capillare del territorio, l’eterogeneità dei concessionari), ma soprattutto con la ‘grande’ caratteristica ‘industriale’ del gioco. Nel gioco, infatti, vince sempre solo quello ‘più e meglio distribuito’.

Secondo questa regola, se l’Italia fosse il Paese con ‘la migliore internet’, l’unico gioco di successo sarebbe quello on line, mentre l’atavica arretratezza degli Italiani e delle infrastrutture della banda larga consegnano al mercato ‘terrestre’ la leadership. Non a caso, fino a quando le ordinanze comunali e le Leggi regionali hanno consentito il pieno esercizio del gioco legale ‘terrestre’, persino quello illecito ha dovuto retrocedere a posizioni di nicchia ‘industrialmente impercettibili’, mentre ora, intere aree del Paese sono già contaminate dalla raccolta terrestre di gioco illegale.

Mercato ‘terrestre’ significa soprattutto ‘forza lavoro’, per controllo, manutenzione in loco, assistenza al punto e nel punto, ma anche capillarità dei punti, sia sotto il profilo della densità sia sotto il profilo della copertura generale. Un nuovo mercato terrestre ‘strumentalmente ideato per escludere (o ridimensionare sino allo sfinimento) i gestori’ è ovviamente possibile, ma costa più di quello che si può pensare, rende meno di quello che si può pensare, e non possiede strumenti ‘attrattivi’ in grado di vincere la sfida commerciale con il gioco illegale (che a volte ‘in Tribunale’ vince). Oltre a consigliare ai fondi comuni di investimento di prestare il ‘giusto peso’ a coloro che prospettano il facile raddoppio dei ricavi, sfruttando la tecnologia per accorciare la filiera, è doveroso ricordare ai gestori che, nella loro ‘professionalità’, esiste una solida base per ricostruirsi un futuro, almeno sino a quando sarà ‘terrestre’ la domanda di servizio prevalente.

Il vero ‘tallone d’Achille’ resta lo ‘scollamento’ tra il gioco e la popolazione, la sua totale assenza di inter - relazione con le cittadinanze, e quindi la sua sostanziale in - difendibilità sociale e mediatica.

Su questo profilo As.Tro ha più volte cercato di far comprendere a ‘tutto’ il sistema che una industria è tale solo se ‘socialmente percepita’ come entità che produce un lucro redistribuito anche sul territorio, e che il ritardo ‘culturale’ nello sviluppo dei bilanci sociali, nell’ambito delle pianificazioni aziendali, sarebbe stato prima o poi pagato in termini di ‘mancata solidarietà (e quindi astio) popolare’. Persino chi distrugge l’ambiente tramite le trivellazioni esplorative per la ricerca del petrolio comprende che senza un canale ‘strategico’ con il territorio la tutela legale dell’impresa non basta per difendersi in eterno, mentre una ‘gestione costante del rapporto con le cittadinanze’ consente di affermare la distinzione tra chi ‘disapprova’ e chi ‘fa demagogia o allarmismo senza prove’. Per anni As.Tro ha incontrato amministratori locali, psicologi, intellettuali, riuscendo persino a strappare qualche sensibilità istituzionale (a fronte dell’esibizione del dato dei cassa-integrati e dell’aumento di illegalità che una data misura avrebbe generato), ma senza mai poter dire ‘guardate quel centro solidale per i senza reddito lo abbiamo fatto noi, guardate il Duomo, lo abbiamo restaurato noi’. Su un dato, si da persino ragione ai ‘detrattori’ del gioco lecito, laddove sostengono che dell’industria del gioco lecito nessun cittadino ‘comune’ sente il bisogno. Questo dovrebbero capire i gestori, per primi, ma anche i fondi comuni di investimento: nessun Governo si comporterà da ‘colonnello’ nei confronti di Comuni e Regioni per cancellare leggi, regolamenti e ordinanze, al fine ‘salvare’ un rating finanziario, se dai territori stessi non verrà una ‘voce’ in cui si ammetterà che ‘un certo tipo di gioco’ è bene accetto.

L’ammonimento ai fondi, poi, attiene anche ad un altro versante: anche ammesso che riescano a posizionare un ‘terminalino’ che ‘faccia tutto da solo’, il congegno incasserà ben poco a Milano, Pavia, Padova, Vicenza, Ravenna, Bolzano, Massa, Lucca, ed in altre cento città, dove non potrà comunque essere acceso. Forse, è quindi meglio ‘per tutti’ che si inizi a capire che tutto il settore è pronto ad investire su un aumento di sicurezza e legalità che porti sul mercato un prodotto ‘valido’ ed ‘evoluto’ gestito da operatori sempre più ‘qualificati, virtuosi, funzionali alle esigenze istituzionali’; ma se il pretesto della sicurezza dovesse solo servire per affossare una categoria, e raddoppiare la marginalità per un segmento, allora preparatevi a ri-stampare le previsioni finanziarie centinaia e centinaia di volte.

Chissà. Proprio i Comuni che oggi stanno azzerando il fatturato dei gestori, potrebbero diventare, domani, alleati di ‘quel’ gioco lecito che al mercato finanziario dovesse iniziare a preferire il lavoro insediato e le utilità concesse sul territorio”, conclude.

 

Articoli correlati