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As.Tro: 'Se fosse l'Italia a non potersi permettere il gioco legale?'

18 gennaio 2017 - 12:44

L'associazione As.Tro interviene sull'accostamento del gioco ad alcuni fatti di cronaca e pone una riflessione.

Scritto da Sara
As.Tro: 'Se fosse l'Italia a non potersi permettere il gioco legale?'

"Alcune notizie recenti impongono una riflessione sul gioco lecito, ma anche sulla sua stessa compatibilità con gli strani assetti della nostra società e del nostro Stato: un marito massacra la moglie perpetrando l’ennesimo femminicidio a cui il Paese si sta abituando, ma l’attenzione mediatica si concentra sul fatto che dopo l’omicidio il colpevole si sia fermato 3 ore a giocare alle slot, e non sulla crescente disgregazione della percezione della donna che si afferma nella nostra società. Un padre di famiglia di delinquenziale scelleratezza abbandona il figlioletto minore in macchina al gelo, ma l’attenzione mediatica è focalizzata sull’attività che l’adulto fa dopo l’abbandono (come se facesse qualche differenza giocare piuttosto che altro), e non sulla polverizzazione della responsabilità genitoriale che sta ponendo a rischio le nuove generazioni. Dal 2000 al 2016 il 'gioco pubblico' è esploso tramite una serie incessante di invenzioni e relativa messa a bando delle nuove forme di gioco autorizzato". Lo sottolinea il Centro Studi As.Tro che aggiunge: "Nel 2004, nel dettaglio, si sono introdotte le Awp, apparecchiature da gioco con premio in denaro (modesto-controllato-in moneta metallica), al fine specifico di soppiantare il videopoker clandestino con le slot di Stato, visto che, nel 2000, gli apparecchi anarchici avevano già raggiunto il numero di 800.000, con un volume di affari stimato in 20 mila miliardi di lire, e un bacino di utenza di svariati milioni di persone.

 

La mission anti-proibizionista, è stata dunque erariale e non culturale, di emersione tributaria e non di inquadramento del fenomeno in un percorso progressivo di responsabilizzazione delle masse a cui il gioco piace a prescindere dal fatto che sia lecito o illecito.

Le stesse ragioni che oggi guidano gli anti-proibizionisti su case-chiuse e droghe leggere, più che mai convinti che gli introiti erariali sottratti a quelli illeciti siano presupposti bastevoli. Lo possono essere sicuramente, ma solo per ottenere legalizzazioni controverse che in futuro generano ripensamenti e voglie di ritorno all’abolizionismo.

Forse è l’Italia che non può permettersi certi percorsi evolutivi (la rimozione dei proibizionismi lo sono sempre, se fatti bene, perché le società progrediscono quando sono responsabilizzate e non sedate dai divieti), perché non può permettersi di spendere tante energie per trasformare la collettività in una sede di pensiero libero e di innovazione, ovvero una entità a cui fornire risposte e non capri espiatori (colpevoli vicari).

Se si potesse abolire il gioco si creerebbe una grave danno alle finanze erariali, si chiuderebbe una industria da 150mila addetti, e 5000 imprese sane andrebbero in fallimento con un deterioramento di oltre 3 miliardi di esposizioni bancarie (sempre meno del conto-Monte Paschi), ma almeno si potrebbe ripartire da zero, in una situazione in cui chi ha usato il gioco per non affrontare i problemi del Paese sarebbero fuori, magari sostituiti da un nuovo contesto più simile a quello che ha permesso agli Stati uniti di voltare pagina dopo oltre un decennio di proibizionismo, grazie ad una icona della storia mondiale, quel Roosevelt che ha costruito la prima potenza del Mondo partendo da un ideale di libertà.

Sicuramente non conviene più a nessuno lo status quo: l’industria è a rischio implosione se gli apparecchi da gioco possono lavorare 4-5 ore al giorno e se per installare un congegno lecito considerato nuovo devi posizionarlo in mezzo all’autostrada, perché solo lì non ci sono luoghi sensibili. Le categorie giuridiche del diritto penale sono diventate da fisse a oscillatorie al cospetto del gioco d’azzardo, tale per cui chi si rovina al casinò e fa bancarotta va in galera, ma chi si è rovinato con le slot in una sala sotto casa finisce assolto; chi si assenta dal lavoro pubblico per giocare alle slot in tabaccheria va assolto, così come chi ruba perché deve giocare alle slot di stato, ma invece vanno in galera i drogati che rubano un portafoglio per comprarsi una dose. La politica è oramai compromessa, stretta tra l’incudine dei pentiti della legalizzazione (oggi in prima fila per chiederne la restrizione sino alla proibizione dopo avere approvato le Leggi sul gioco) e il martello dell’epidemia fantasma del Gap, certa in ragione di 13.000 casi su 35 milioni di giocatori, ma liberamente quantificabile sul profilo della stima per sentito dire.

La gente non sa più che pensare dopo che si è loro raccontato che se guardi una slot puoi ammalarti, che le slot di Stato sono in mano alle Mafie, e che la Sanità Pubblica (quella che si insomma quella) spenderebbe miliardi di euro (che non ha) per curare i malati di Gap. L’informazione e i media sono spaesati dall’effetto che provoca la parola slot, e persino quando un marito massacra la moglie dopo 20 anni di maltrattamenti la notizia non può essere data se non evidenziando che l’uomo è andato a giocare alle slot dopo l’omicidio (alla libera interpretazione di tutti la eventuale diversa opzione dell’uomo che fosse andato a messa, piuttosto che allo stadio per tifare una certa squadra, piuttosto che al comizio di un certo politico, o ad una certa manifestazione). Trenta milioni di giocatori restano, giocano, e dove non trovano il gioco legale sotto casa vanno dall’altra parte (l’illegale) o su internet. Lo status quo non serve a nessuno. In questo contesto: non puoi neppure applicare il metodo dei 12 passi al dipendente da Gap, perché non è chiaro se il dipendente sia una vittima di Stato o una persona che deve riprendersi la sua vita per un errore che ha fatto lui, e di cui lui debba assumersi le responsabilità; non puoi costringere gli amministratori locali a pensare alla collettività, senza l’alibi del gioco, non puoi costringere lo Stato a mettere il suo gioco nel delicatissimo perimetro di un fenomeno di proibizionismo rimosso, e non solo nell’ambito di una posta di bilancio. Un po’ di serietà imporrebbe un percorso diverso, difficile forse, ma sicuramente diverso da quello non encomiabile a cui stiamo assistendo. Forse ci vorrebbe un Roosevelt in salsa europea, ma non solo per il gioco".

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