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Tar Lombardia ribadisce sì a orari gioco di Milano: 'Rientra in competenze del sindaco'

23 luglio 2015 - 14:44

La disciplina in tema di sale da gioco non è diretta a garantire l’ordine pubblico, in quanto gli apparecchi da gioco sono considerati esclusivamente nel loro aspetto negativo di strumenti di grave pericolo per la salute individuale e il benessere psichico e socio-economico della popolazione locale. Benessere psico-fisico la cui tutela è sicuramente compresa tra le attribuzioni dell’ente locale.

Scritto da Redazione GiocoNews
Tar Lombardia ribadisce sì a orari gioco di Milano: 'Rientra in competenze del sindaco'

 


Con questa motivazione il Tar Lombardia ha respinto il ricorso di un concessionario contro ilComune di Milano per l'ordinanza con cui il sindaco Giuliano Pisapia ha limitato gli orari di esercizio delle sale giochi e di funzionamento degli apparecchi dalle 9 alle 12 e dalle 18 alle 23.


Per i giudici l'ordinanza del sindaco è legittima "in base alla generale previsione di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 267/2000, ma anche in considerazione delle norme che attribuiscono al Sindaco un potere di ordinanza a tutela della salute dei cittadini, in caso di emergenze sanitarie, ai sensi del medesimo art. 50 del Tuel. Né rileva in senso contrario la circostanza che il Sindaco abbia disciplinato, oltre all’orario di apertura e di chiusura delle sale da gioco, anche gli orari di attivazione degli apparecchi da gioco collocati in altre tipologie di esercizi. Invero, una volta messa in luce la correlazione tra il potere in esame e le finalità di tutela anche della salute e del benessere dei cittadini, è del tutto ragionevole ritenere che la delimitazione degli orari possa essere effettuata in maniera selettiva, ossia in relazione al tipo di attività svolta all’interno dei pubblici esercizi, delimitando l’orario di svolgimento delle singole attività, come l’attivazione delle apparecchiature da gioco. In quest’ottica, il potere esercitato dal Sindaco nel caso concreto trova preciso fondamento nell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000, interpretato in coerenza con i canoni ermeneutici già evidenziati dalla giurisprudenza amministrativa e valorizzati dalla giurisprudenza costituzionale, con conseguente infondatezza della censura di difetto di attribuzioni".

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