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Estraneità dal reddito, Cassazione accoglie ricorso Ced

24 settembre 2014 - 08:10

Se l’imputato prova che parte delle somme che ha sul conto corrente sono estranee alla produzione del reddito, cadono le presunzioni tributarie. A stabilirlo la Corte di Cassazione che ha in parte accolto il ricorso del titolare di un Ced, annullando l’ordinanza del Tribunale di Savona che aveva confermato il decreto di sequestro preventivo.

Scritto da Sara
Estraneità dal reddito, Cassazione accoglie ricorso Ced

Secondo i giudici “Nessuno dei bookmaker stranieri con i quali il ricorrente abbia lavorato è titolare di concessione rilasciata dalla Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (Aams). Si tratta di società straniere che hanno licenze per il gioco di azzardo emesse dai rispettivi paesi di appartenenza ma che non hanno alcun riconoscimento in Italia. Tale circostanza, da un lato, non permette agli allibratori stranieri di poter operare sul nostro territorio e, dall'altro, risulta compatibile con la disciplina dettata dagli artt. 23, 43 e 49 CE. 2.3. E' proprio la sentenza, citata dal ricorrente c.d. sentenza Biasci, emessa dalla Corte di Giustizia Ue’, sez. 3^, sentenza 12 settembre 2013 nelle cause riunite C-660/11 e C-8/12, a convalidare il predetto approdo”. A detta dei giudici “Ne consegue che la mancanza di concessione rilasciata dalla Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (Aams), comporta l'impossibilità per l'operatore italiano o straniero di ottenere la licenza di pubblica sicurezza di cui all'art. 88 del Tulps e ha quale conseguenza l'esercizio abusivo del gioco di scommesse. Correttamente pertanto il tribunale cautelare ha ritenuto in tal caso sussistere gli estremi della consumazione del reato di cui della L. n. 401 del 1989, art. 4, commi 1 e 4 bis, derivando da ciò che il soggetto, il quale riceve le scommesse e versa le vincite, pone in essere un'attività commerciale in forma organizzata soggetta ad imposizione fiscale”.

 

 

Per quanto riguarda la parte tributaria viene sottolineato: “Il Collegio cautelare - pur avendo correttamente sostenuto che il ricorrente ha svolto un'attività commerciale in forma organizzata soggetta ad imposizione fiscale - non ha spiegato la ragione per la quale, nella determinazione della base imponibile e dunque ai fini dell'integrazione della soglia di punibilità del reato configurato, sarebbero corretti i calcoli relativi all'imposta evasa in quanto effettuati solo sulla base imponibile dei versamenti non giustificati, tenendo conto anche di tutti gli importi ricevuti dagli scommettitori, non epurati dei versamenti ai bookmakers stranieri. A tale conclusione non è possibile pervenire, come fondatamente lamenta il ricorrente, puramente e semplicemente sulla base della presunzione di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, che configura come ricavi sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari.La giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nell'affermare che le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sè fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa, (Sez. 3^, n. 7078 del 23/01/2013, Piccolo, Rv. 254852 conformi Sez. 3^, 18/05/2011 n. 36396, Mariutti, RV 251280; Sez. 3^, n. 5490 del 26/11/2008, Crupano, Rv. 243089 nonchè sentenze n. 8445 del 1991 Rv. 188010, n. 21213 del 2008 Rv. 239984). Va ribadito il principio secondo il quale, in tema di cautele reali, non occorre, ai fini del fumus criminis, un compendio indiziario che si configuri come grave ai sensi dell'art. 273 c.p.p. e tuttavia questa Corte ha anche affermato che, ai fini dell'emissione del sequestro preventivo funzionale alla confisca, il giudice deve valutare la sussistenza del "fumus delicti" in concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l'esistenza del reato configurato, in quanto la "serietà degli indizi" costituisce presupposto per l'applicazione delle misure limitative dei diritti di libertà reale (Sez. 6^, n. 45591 del 24/10/2013, Ferro, Rv. 257816). Ne consegue che, a fronte dell'allegazione e della prova fornita dal ricorrente circa il fatto che una parte delle somme confluite sui suoi conti correnti fossero estranee alla produzione del reddito, il tribunale cautelare aveva un preciso obbligo di motivazione, che è stato totalmente disatteso così da configurare la violazione di legge, nell'indicare le ragioni per le quali, al di là della presunzione tributaria, le somme confluite sui conti correnti fossero da ritenere, ai fini dell'integrazione della fattispecie incriminatrice, elementi positivi del reddito tali da essere presi, nessuno escluso, in considerazione ai fini della determinazione dell'imposta evasa.

 

IL COMMENTO DEL LEGALE – L’avvocato difensore, Mariateresa Parrelli, spiega la sentenza sottolineando: “Innanzitutto, è bene precisare che la vicenda affronta l'aspetto tributario dell'attività della raccolta di scommesse per conto di bookmaker privi di concessione italiana: essa trae origine da una verifica fiscale eseguita a carico di un Ced che, dal 2008 al 2013, è stato commercialmente affiliato a diversi bookmaker (2 austriaci e 1 maltese). Nel corso della verifica fiscale, il Comando Regionale della Guardia di Finanza ha disposto l'accertamento bancario sui conti correnti utilizzati dal Ced per effettuare i versamenti in favore del bookmaker. Faccio presente che secondo il principio di presunzione tributaria ex art 32 dpr 600/73 ogni movimentazione bancaria non giustificata viene imputata (e considerata) quale elemento attivo del reddito (sul quale, quindi, devono essere calcolate le tasse). Nel caso specifico, la Guardia di Finanza non accettava (ovvero non giustificava) i versamenti sul conto corrente e i (conseguenti) bonifici eseguiti dal Ced a favore del bookmaker di talché tutti i movimenti bancari effettuati in favore del bookmaker sono stati qualificati quale reddito da imputare al contribuente. Detto altrimenti: ogni bonifico effettuato in favore del bookmaker è stato considerato un ricavo del Ced, sebbene, in realtà, i bonifici bancari effettuati dal Ced rappresentino le somme di denaro raccolte dagli scommettitori e che sono nell’esclusiva titolarità e disponibilità dei bookmaker comunitari. A causa delle movimentazioni non giustificate al Ced è stato apoditticamente imputato un reddito (non dichiarato) pari a euro 620.000,00 con conseguente iscrizione di un procedimento penale a suo carico per la presunta fattispecie di reato tributario ex art. 4 d.lgs n. 74/2000 (Dichiarazione infedele). Nell’ambito di questo procedimento penale è stato disposto a carico del Ced un sequestro penale c.d. “per equivalente” sui beni mobili e immobili di sua proprietà. Avverso il provvedimento di sequestro è stata proposta richiesta di riesame : il procedimento di riesame si è concluso con la conferma della misura cautelare e afflittiva imposta al Ced. Secondo l'ardita tesi accusatoria del Tribunale del riesame “.. in assenza di autorizzazioni, il [Ced] ha svolto in prima persona un'attività commerciale in forma organizzata soggetta ad imposizione fiscale”. Secondo la motivazione addotta dal Giudice del riesame, quindi, la condotta assunta dal Ced avrebbe integrato il reato tributario ex art. 4 del d.lgs. n. 74/2000 semplicemente perché, essendo il Ced privo del titolo autorizzatorio (e il bookmaker privo del titolo concessorio), avrebbe integrato il fumus del reato di cui all'art. 4 l. n. 401/1989. Pertanto la scrivente difesa ha impugnato l'ordinanza del Tribunale del Riesame innanzi la Suprema Corte di Cassazione penale la quale ha affermato che l'accusa mossa dal Tribunale del Riesame è del tutto errata (dando ragione al Ced) perché ha compreso le sue concrete modalità operativa: il Ced introita i proventi dai clienti-scommettitori, li versa sui propri conti correnti e li bonifica alle società estere concedenti a mezzo di bonifico bancario. Il tutto al netto della sua provvigione. I giudici di legittimità hanno sostenuto come il Tribunale del Riesame abbia omesso di fornire le prove concrete e certe di un'esatta determinazione dell'imposta evasa, limitandosi ad accettare per relationem l'identificazione del profitto del reato e i risultati derivanti dalla relazione della Guardia di Finanza. L'ordinanza è stata quindi riformata perché si pone in aperto contrasto, non soltanto con i basilari principi di diritto penale (quali la presunzione di innocenza e l'onere probatorio a carico dell'accusa), ma soprattutto perché la determinazione dell'imposta evasa parte da presupposti di fatto del tutto errati e fuorvianti, ovvero aver equiparato l'attività di Ced svolta dal Ced a quella svolta dal bookmaker e aver considerato al pari dei ricavi i bonifici bancari effettuati in favore dei bookmaker comunitari. In applicazione del principio di presunzione di innocenza operante in sede penale (e dell'onere probatorio a carico dell'accusa), non è quindi corretto che il Giudice del Riesame abbia preso in considerazione per relationem i conteggi eseguiti dalla Guardia di Finanza che, a loro volta, però, derivano dall'erronea applicazione in sede penale del principio di presunzione ex art 32 dpr n. 600/1973. Come ben noto, difatti, il principio di presunzione tributaria ex art 32 dpr 600/73 non opera nel processo penale: con riferimento ai reati tributari, non può farsi ricorso alla presunzione. Nulla di quanto sopra argomentato ed eccepito è stato oggetto di indagine da parte del Tribunale del Riesame, che in palese violazione di legge, ha equiparato le presunzioni tributarie ex art 32 dpr 600/1973 al pari di una prova penale certa. Sull'utilizzo delle presunzioni tributarie codesta Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione con la sentenza qui commentata ha statuito e precisato che “.. La giurisprudenza id questa Corte è ormai consolidata nell'affermare che le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa”. Prosegue poi la Corte affermando che “... il tribunale cautelare aveva un preciso obbligo di motivazione, che è stato totalmente disattevo così da configurare la violazione di legge, nell'indicare le ragioni per le quali, al di là della presunzione tributaria, le somme confluite sui conti correnti fossero da ritenere, ai fini dell'integrazione della fattispecie incriminatrice, elementi positivi del reddito tali da essere presi, nessuno escluso, in considerazione ai fini della determinazione dell'imposta evasa”.

LE CONCLUSIONI – “Poiché il sequestro è stato disposto sulla base del reato tributario la sentenza qui presa in esame ha affrontato (e risolto) solo il profilo tributario dell'attività svolta dal Ced, limitandosi solo incidentalmente ad affrontare il reato di scommesse ex art. 4 l.n. 401/1989 affermando che ‘è esatta l’affermazione contenuta nel ricorso secondo la quale la Corte di Giustizia, nella sentenza Biasci, ha precisato (punto 37), quanto alle attività transfrontaliere, che gli artt 43 e 49 Ce ostano a una normativa nazionale che impedisca di fatto qualsiasi attività transfrontaliera nel settore del gioco indipendentemente dalla forma di svolgimento della suddetta attività e, in particolare, nei casi in cui avviene un contatto diretto tra il consumatore e l'operatore ed è possibile un controllo fisico, per finalità di pubblica sicurezza, degli intermediari dell'impresa sul territorio’”, aggiunge l’avvocato.

 

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