Ma nessuno, finora, sembra essersi accorto di questo “pericoloso” prodotto alimentare che potrebbe, questo sì, portare un ragazzo se non proprio a una “cultura” dell'alcol, quanto meno, a una propensione e a un rischio di “abitudine” al cocktail in questione. Nonostante l'Istat abbia certificato un abuso di alcol in 8,6 milioni di italiani con il 13,6 percento dei ragazzi tra gli 11 e i 15 anni (ben 392 mila individui), che beve alcolici abitualmente. Ma forse è soltanto perché le associazioni dei consumatori o i movimenti dei genitori – anche se in genere attentissime su questo fronte – non si sono ancora accorte della novità in campo alimentare.
Personalmente, abituato per professione ad analizzare le situazioni evitando le soluzioni affrettate, intravedo un rischio evidente nella messa in vendita di un gelato di questo genere, ma al tempo stesso, sapendo che la vendita è destinata a un pubblico di maggiore età, ne deduco che la sua distribuzione è affidata alla professionalità (e responsabilità) dell'esercente che ne cura la somministrazione, a cui spetta il compito di distinguere e verificare l'età degli acquirenti. La stessa cosa, cioè, che avviene per il gioco con vincita in denaro: vietato per legge dallo Stato e il cui esercizio, lontano dai minori, è discriminato dal rivenditore e, quindi, dall'esercente di turno (e se qualcuno dovesse dire, leggendo queste parole, che diventa necessaria una formazione più attenta della categoria, per quanto riguarda il gioco, ben venga!).
Vale la pena sottolineare, con l'occasione, che il pericolo ravvisato sulle ticket redemption, oltre ad essere ingiustificato, suona proprio come paradossale. In un periodo in cui il gioco ha assunto una distribuzione altissima, entrando a far parte ormai indissolubilmente nelle abitudini quotidiane degli italiani, appare necessaria una adeguata informazione nei consumatori che devono essere consapevoli a fondo delle caratteristiche di ogni offerta di gioco, delle probabilità di vincita e di tutto il resto. Per la diffusione di una “cultura del gioco” (e non, si badi bene, dell'azzardo) intesa come una conoscenza generale di questo tipo di attività, la quale, non a caso, rientra in uno degli obiettivi perseguiti dal Legislatore con il decreto Balduzzi, che ha limitato e normalizzato i messaggi pubblicitari e obbligato all'esposizione di cartelli che avvertono sul rischio dipendenza. E allora, quale migliore occasione, per iniziare a far comprendere ai nostri figli che lo scopo della vita non può e non deve essere quello di passare le ore davanti a una slot o una vlt, al tavolo di un bingo o al casinò, in cerca del colpo di fortuna che porti alla “svolta”, se non quello di giocare insieme a loro in un bowling o in un Fec, con macchine di puro intrattenimento. Sarà quello il momento più facile, probabilmente, per far capire ai propri figli che ci sono altri valori, altre attività e altri obiettivi a cui dedicare la propria esistenza, e che il gioco dovrà sempre essere e rimanere un momento di svago, di intrattenimento, appunto, e non una “ragione di vita”.
Ma questa, a cui ci siamo ormai abituati, è l'Italia a due facce e dalla moralità alternata. Dove, paradosso dei paradossi, nel momento in cui si grida allo scandalo per l'eccessiva (com'è del resto innegabile) diffusione del gioco, si intravede uno spiraglio per affrontare la discussione dell'apertura di un quinto casinò in territorio nazionale. E allora, Viva l'Italia! (Ma sarà poi per questo che uno dei più famosi giochi numerici a totalizzatore si chiama proprio così?)