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Questione territoriale: tra il dire e il fare c'è di mezzo un'industria, e tanti lavoratori

31 ottobre 2018 - 09:26

Il “caso Puglia”, che segue quelli di Liguria, Abruzzo e a Trento, impone delle riflessioni alla politica sulla necessità di un coordinamento nazionale sul gioco.

Scritto da Alessio Crisantemi
Questione territoriale: tra il dire e il fare c'è di mezzo un'industria, e tanti lavoratori

 

Cronaca di un fallimento annunciato. Si potrebbe riassumere così la giornata di ieri, che ha visto la Puglia al centro dell'attenzione generale, insieme all'industria del gioco pubblico e ai suoi addetti, che hanno manifestato per un'intera giornata davanti alla sede del Consiglio Regionale, chiedendo a gran voce una proroga dell'entrata in vigore della legge “anti-gioco-legale”, che è poi arrivata. Come abbiamo ampiamente documentato, su queste pagine, attraverso una cronaca diretta e costante durante l'intera giornata di protesta e di attesa, per gli operatori, e di sconvolgimento politico per l'amministrazione locale. Una giornata diversa dalle precedenti, per varie ragioni che è opportuno analizzare, nonostante rappresentasse in qualche modo un dejà-vu, per l'industria del gioco pubblico, dopo che si è già assistito a situazioni analoghe in altri territori. Dalla Liguria all'Abruzzo, passando per la provincia di Trento: tutti luoghi in cui, in maniera analoga, l'amministrazione locale ha imposto limiti insostenibili alle imprese del gioco, salvo poi ricorrere ai ripari concedendo una proroga dei termini di entrata in vigore delle restrizioni per scongiurare la crisi di tante imprese e la perdita di posti di lavori per centinaia di lavoratori, oltre a una serie di inevitabili contenziosi.

IL FALLIMENTO DELLA POLITICA - Da qui è evidente il fallimento della politica, ancora una volta, nel perseguire e perpetuare un approccio ontologicamente errato nei confronti del gioco pubblico, come dimostrano i fatti, non le opinioni personali. Se il gioco è (teoricamente) disciplinato dallo Stato attraverso una Riserva di Legge è proprio per la necessità di gestire il fenomeno e il relativo mercato a livello centrale, mediante un coordinamento nazionale e una guida unica. Mentre l'idea di adottare una disciplina specifica e separata per ogni territorio risulta pericolosa – per via degli squilibri che si vengono a creare sul mercato, come per esempio il fenomeno del “turismo del gioco” - e difficilmente attuabile, come è evidente dalla cronaca pugliese. E da quella ligure, abruzzese o altoatesina. Tanto più se i legislatori locali decidono – come avvenuto in molti casi, e non solo in quelli già citati poc'anzi – di adottare leggi e restrizioni in maniera spicciola, superficiale e senza la previa concertazione con l'industria e le varie categorie di lavoratori coinvolti in questo mercato, in nome di una presunta tutela dei cittadini, che non trova però nessuna attuazione attraverso l'applicazione di certi leggi. Non è certo facendo sparire (perché di questo si tratta, in gran parte dei casi) l'offerta di gioco legale dalle città che si difendono i consumatori dal rischio di gioco patologico: né tanto meno confinando l'offerta in zone sperdute e lontane dai centri storici, come deriverebbe dall'applicazione dei distanziometri previsti ormai da ogni legge regionale, che andrebbero addirittura a creare dei ghetti del gioco d'azzardo. Dove perdersi, per un giocatori, sarebbe addirittura più semplice e, quindi pericoloso. Ma quello che appare ancora più sbagliato e decisamente assurdo, in tutto questo, è il fatto che quelle stesse leggi che vorrebbero tutelare i cittadini, finiscono col compromettere proprio gli stessi cittadini, visto che le imprese che lavorano nel settore, in ogni territorio, sono fatte di persone, di lavoratori ed imprenditori che non sono altro che cittadini, uguali a tutti gli altri. E che finirebbero in mezzo a una strada con l'entrata in vigore di certe leggi locali. "Non siamo solo numeri": è la frase che rimane forse più impressa tra quelle riportate sugli stendardi dei manifestanti di Bari, per ricordare la loro esistenza. Solo che la politica sembra accorgersi di questi rischi, seppure così gravi e inevitabili, solo all'ultimo momento e perché messa di fronte alla realtà da quegli stessi cittadini che sono costretti a scendere in piazza per essere considerati alla pari degli altri. Ed è proprio questo l'aspetto più insopportabile dell'intera vicenda e della cosiddetta Questione Territoriale, che non sembra ancora vicina a una conclusione.
 
L'UNIONE RITROVATA - Eppure la vicenda della Puglia contiene anche degli aspetti positivi e fuori dagli schemi tradizionali. Non soltanto perché, com'è evidente, la politica è stata costretta a prendere atto della dimensione “umana”, oltre a quella industriale, del gioco pubblico, che è fatto comunque di imprese e di lavoratori, nella speranza che questi aspetti possano portare a un diverso approccio da parte dell'amministrazione locale e delle altre che si trovano in situazioni analoghe. Di buono, in Puglia, c'è anche la ritrovata unione di un comparto, reduce da tante battaglie e troppe divisioni, anche tra le stesse categorie, che sono scese in piazza con un unico scopo e mettendo da parte ogni antico rancore. Con il supporto, questa volta, anche delle organizzazioni sindacali, che hanno iniziato anch'esse a considerare i lavoratori dell'industria del gioco alla parti di tutti gli altri. Nell'auspicio generale che dalla situazione di crisi in cui si trova l'industria, anche a causa delle norme regionali, possa davvero rifondarsi un settore nuovo e stavolta veramente sostenibile.
 
ADESSO TOCCA AL GOVERNO – Quanto accaduto in Puglia, però, non deve essere relegato a una mera vicenda locale: con la Questione Territoriale che deve invece essere considerata, qual è, una Questione Nazionale. Materia rispetto alla quale deve intervenire il governo. E deve farlo prima possibile, dopo troppi anni di assenze e rinvii e prima che sia troppo tardi. Del resto, se si è arrivati a questo punto e proprio a causa delle ripetute mancanze dello Stato e quindi dei governi che si sono succeduti in questi anni, che hanno costretto alle Regioni e agli enti locali più in generale di assumere il ruolo di supplenti del Legislatore. Partorendo i mostri normativi di cui abbiamo ampiamente parlato e con i quali si devono confrontare le imprese e i lavoratori. Ora più che mai, quindi, serve un Riordino generale del comparto: quindi una riforma del settore che risulti degna di tale nome e che passi, magari, anche per l'adozione di un Testo Unico sui giochi. Come si invoca e auspica da tempo, ma senza mai venirne a capo. Il governo a guida Lega e 5 Stelle ha dunque la possibilità di mettere fine una volta per tutte alla Questione Territoriale: senza correre il rischio, come i precedenti governi, di essere indicato come “il governo amico delle lobby”, per il semplice fatto di voler regolamentare la materia, come è avvenuto finora con tutti i precedenti esecutivi, vista l'evidente distanza di questa compagine governativa dall'industria dei giochi. Partendo proprio dai fatti di Bari e dalle evidenze che fuoriescono dai territori: osservando, per esempio, che strumenti come quello del distanziometro non rappresentano una soluzione ma comportano soltanto dei rischi aggiuntivi, specialmente se viziati da errore tecnico, come evidenziato ormai anche da una certa giurisprudenza. Una serie di circostanze che andranno studiate, analizzate (tenendo anche conto che lo stesso governo ipotizzata l'adozione di un “distanziometro nazionale”, stando alle parole del vice premier Luigi Di Maio) e catalizzate verso l'unico obiettivo di rendere sostenibile l'offerta di gioco: per i cittadini-consumatori, ma anche per i cittadini-lavoratori. Cioè per tutti. E' dunque il momento di aprire un confronto con l'industria, e non solo con le regioni e gli enti locali. Come del resto chiedono da tempo gli addetti ai lavori: e, forse, come auspicano ormai gli stessi rappresentanti delle amministrazioni locali. In fondo, non è mai troppo tardi.
 

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