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Mafiabet, sequestro da 5 milioni in provincia di Trapani

22 febbraio 2019 - 08:49

Arrestati dai Carabinieri tre imprenditori che imponevano apparecchi da gioco con metodi mafiosi, sequestrati beni per 5 milioni di euro.

Scritto da Redazione
Mafiabet, sequestro da 5 milioni in provincia di Trapani

Obbligavano vari esercizi commerciali ad installare gli apparecchi di gioco delle proprie società, minacciando pesanti ritorsioni.

Per questo motivo, i Carabinieri del Comando Provinciale di Trapani, della Compagnia di Mazara del Vallo e del Ros hanno tratto in arresto, in esecuzione del fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Procura della Repubblica -Dda di Palermo tre imprenditori, fra cui il gestore di un centro scommesse a Campobello di Mazara.

Sono accusati di associazione mafiosa, estorsione e altro.

In corso anche un ingente sequestro di beni (circa 5 milioni euro) nei confronti degli indagati, "finalizzato alla confisca e disposto dalla Procura di Palermo nei confronti di 8 società e imprese individuali, e relativo compendio societario, che gestivano non solo giochi online, ma anche esercizi commerciali quali tabacchini, autonoleggi, bar, nonché società di servizi. Di fatto uno degli imprenditori di recente aveva differenziato e ampliato gli investimenti, acquistando anche società di scommesse sull’isola di Malta".
 
"Le indagini dei Carabinieri coordinati dalla Procura della Repubblica – Dda- di Palermo hanno permesso di monitorare la rapidissima ascesa imprenditoriale di uno di loro nel mondo delle scommesse e giochi online. Ascesa favorita in tutto e per tutto dagli affiliati ai mandamenti mafiosi di Castelvetrano e Mazara del Vallo", si legge in un comunicato relativo all'operazione, denominata "Mafiabet", diramato dalle forze dell'ordine.
 
Due di loro "gestivano la cassa dell’associazione mafiosa in questo settore imprenditoriale, occupandosi del sostentamento, relativo alle spese legali e alle altre necessità del boss detenuto, nonché del finanziamento dei vertici delle famiglie mafiose di Campobello di Mazara, Mazara del Vallo e Castelvetrano. In particolare, il gestore del centro scommesse rappresentava l’anello di congiunzione operativo tra il boss e la famiglia di Castelvetrano, in quanto particolarmente vicino al cognato del latitante Matteo Messina Denaro. Era lui a veicolare messaggi e informazioni fra i rispettivi componenti delle famiglie mafiose e organizzava incontri fra i sodali, salvaguardandone la riservatezza. Inoltre assumeva la gestione di un centro scommesse e consegnava somme di denaro ricavate dall’attività di raccolta delle scommesse al sostentamento delle famiglie mafiose".
 
Gli esercizi che accettavano il monopolio facente capo a Cosa Nostra, potevano godere della 'protezione' dei mafiosi pronti a punire chi, tra la delinquenza comune, prendeva di mira quegli esercizi commerciali. Così accadeva con un bar di Petrosino, che aveva subito un furto proprio di macchinette per giochi riferibili alle società degli imprenditori arrestati. Cosa Nostra individuava il responsabile del furto e, tramite il referente mafioso di quel luogo, provvedeva alla punizione del presunto reo, colpevole di aver danneggiato un esercizio che già aveva pagato la protezione dell’associazione mafiosa”, si legge ancora nella nota dei Carabinieri.
 
Parte dei proventi economici di tali attività imprenditoriali venivano destinate al sostentamento delle famiglie mafiose di Castelvetrano, di Campobello di Mazara e di Mazara del Vallo, garantendo il costante collegamento fra queste famiglie, i cui vertici sono stati tratti in arresto nell’operazione, sempre della Dda di Palermo, “Anno zero” dello scorso mese di aprile.
 
È indagato anche un deputato regionale per corruzione elettorale, a cui i Carabinieri hanno notificato l’invito a comparire per rendere interrogatorio innanzi ai Pm. Due degli imprenditori, "in ossequio alle disposizioni impartite dal carcere, supportavano la candidatura del politico locale alle elezioni regionali, promettendo e somministrando generi alimentari a cittadini del luogo in cambio della promessa di voto. I due imprenditori non erano infatti disinteressati alle competizioni elettorali. Gli stessi erano esponenti di primo piano del movimento politico 'Io amo Campobello' e uno dei due in passato era stato anche consigliere comunale. Il sodalizio riusciva ad orientare, grazie all’ampio potere economico esercitato, la libera espressione della preferenza elettorale, in ciò realizzando proprio uno degli scopi dell’associazione mafiosa".
 
 
 
 

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