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Bar chiuso per gioco d'azzardo per errore, CdS: 'Comune non ha colpa'

10 aprile 2019 - 07:22

Il Consiglio di Stato nega risarcimento danni da parte del Comune a bar chiuso erroneamente per gioco d'azzardo dopo segnalazione dei Carabinieri.

Scritto da Fm
Bar chiuso per gioco d'azzardo per errore, CdS: 'Comune non ha colpa'

“Non può ragionevolmente negarsi l’effettiva incertezza giurisprudenziale esistente, quanto meno a livello locale (Tribunale amministrativo regionale della Liguria) in ordine alla legittimità del provvedimento di chiusura dell’esercizio commerciale per un fatto identico a quello che aveva coinvolto l’appellante, come rilevato in definitiva dal giudice di prime cure. Ma anche a voler ritenere che il contrasto giurisprudenziale de quo non possa escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’amministrazione comunale, deve tuttavia ritenersi che non vi è alcuna prova effettiva ed inequivoca del danno asseritamente subito dall’appellante. In particolare la circostanza nell’anno interessato dal provvedimento – 1998 – e nei due anni successivi di un calo della redditività dell’esercizio per complessivi €. 18.438,00 è priva di qualsiasi prova adeguata, in quanto non vi è alcun elemento da cui possa ragionevolmente ricavarsi, anche solo a mero livello indiziario, che il fatto della chiusura (per soli 15 giorni) abbia creato un tale strepitus fori da poter incidere negativamente sull’attività commerciale e determinare quindi il preteso calo di redditività che emergerebbe dalle dichiarazioni dei redditi per gli anni che vanno dal 1996 al 2000”.

 

Lo evidenzia il Consiglio di Stato nella sentenza con cui respinge l'appello del titolare di un bar per la riforma della sentenza del Tar Liguria che gli ha negato il risarcimento danni chiesto al Comune di Pietra Ligure (Sv) per la  sospensione per un mese della licenza in parola, dopo che i Carabinieri, nel 1998, avevano sorpreso all’interno del locale alcuni avventori intenti a giocare a ramino, applicando erroneamente l’articolo 110 Tulps invece dell'articolo 86.
Una chiusura poi ridotta a due settimane, visto che il provvedimento comunale era stato nelle more sospeso causalmente dal tribunale amministrativo.
 
 
Il titolare del bar ha chiesto la riforma della sentenza del Tar, “deducendo la sussistenza nel caso di specie della responsabilità soggettiva dell’amministrazione comunale per aver applicato l’art. 110 Tulps del tutto acriticamente sulla base del mero rapporto dei Carabinieri e richiamando la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui le incertezze giurisprudenziali non potevano autonomamente giustificare la responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione; indicando quindi il danno non solamente nel mancato guadagno dipendente dai giorni di chiusura, ma anche nella perdita dell’avviamento asseritamente trascinatasi per anni e quantificandolo in complessivi €. 20.938,00, il tutto con vittoria di spese da distrarsi a favore del difensore dichiaratosi antistatario”.
 
 
Per i giudici del Consiglio di Stato però “il risarcimento del danno deve dimostrare sia la sua sussistenza, sia la sua imputabilità soggettiva, quanto meno a titolo di colpa, all’amministrazione”.
 
 
Inoltre, “è poco plausibile (e comunque non vi è alcun elemento probatorio, neppure a livello indiziario) che un illecito amministrativo di tal genere possa provocare uno strepitum fori tale da portare oggettivamente discredito in una comunità cittadina, sia più ristretta, nei confronti di un locale pubblico con conseguenze tanto rilevanti, come prospettate dall’appellante, tanto più se si tiene conto dell’immediato intervento del giudice amministrativo che sospendeva in sede cautelare il provvedimento di chiusura, protrattasi in definitiva per circa due settimane. È altrettanto evidente che un intervento giurisdizionale così pronto deve ritenersi sufficiente ad evitare il formarsi di ipotetiche maldicenze e 'fughe di clientela', salva diversa prova (che nel caso di specie – si ripete – non vi è stata).
Quanto al danno direttamente collegato alla chiusura dell’esercizio commerciale, quantificato dall’appellante in €. 2.500,00, non può non rilevarsi che non solo l’annullamento del provvedimento di chiusura è stato determinato dell’erronea individuazione della norma indicata nel provvedimento stesso (art. 110 Tulps invece dell’art. 86), per quanto non vi è stata alcuna puntuale prova della diligenza dell’appellante circa l’affissione dell’elenco dei giochi ammessi e dei giochi proibiti: può dunque ammettersi che sia da escludersi l’elemento psicologico della colpa dell’amministrazione, dal momento che la sentenza ha annullato il provvedimento di chiusura solo invece per un non corretto richiamo di norme appropriate alla vicenda, sulla cui intrinseca antigiuridicità non vi è stata invece alcuna pronuncia giurisdizionale”.
 

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