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Gioco pubblico: dietro alla pandemia, la crisi di un modello (e una proposta)

05 maggio 2020 - 08:07

L'emergenza provocata dal Covid-19 fa venire al pettine una serie di nodi critici che caratterizzano, da sempre, il comparto del gioco oltre a nuovi problemi: ecco un'analisi e una proposta.

Scritto da Riccardo Calantropio, consulente di betting
Gioco pubblico: dietro alla pandemia, la crisi di un modello (e una proposta)

 

Per capire fino in fondo la crisi che sta vivendo il comparto del gioco pubblico in questi giorni, che è decisamente più accentuata rispetto a quella che attraversano gli operatori di qualunque altro settore dell'economia nazionale, bisogna partire da lontano.
Dalle origini del comparto del gioco legale. Da quando, nel 1999, vengono indetti i bandi per 1000 agenzie di scommesse e 700 agenzie ippiche, da affiancare quest’ultime alle 300 agenzie ippiche storiche esistenti, a cui era stata assegnata prima la sperimentazione del betting retail.
Al bando partecipa, principalmente la Snai, costituita in impresa, dalle agenzie ippiche aderenti all’omonimo sindacato (Sindacato nazionale agenzie ippiche), la Sisal, che aveva acquisito una società che di agenzie ippiche ne gestiva diverse, e moltissimi nuovi imprenditori che vedevano nel settore grandi prospettive.

I due bandi, con la formula sbagliata dei “minimi garantiti”, furono un vero disastro, e lo Stato fu costretto a mettere una pezza, salvando dal fallimento molte delle agenzie, ivi comprese le società che avevano prestato loro le fidejussioni assicurative.
Il bando del 1999 generò anche il seme delle discriminazioni delle imprese partecipanti, in primis della Stanleybet, che nel tempo diede luogo a interminabili contenziosi giudiziari, che ancora oggi non sono tutti superati.
La loro esperienza, purtroppo, venne presa a modello da organizzazioni illegali, che a loro volta furono controllate dalle varie mafie, che avevano intuito la redditività del settore e il suo sfruttamento ai fini del riciclaggio.
 
Il bando successivo del 2006, in base alle esperienze negative del bando del 1999, venne concepito in modo da dare maggior potere alle grandi società, che potevano offrire maggiore solidità e fidejussioni bancarie, a svantaggio delle piccole imprese.
In parallelo si cercò, poi, di sottrarre al controllo delle mafie il florido settore delle slot, fino a quel momento caratterizzato dall'offerta illecita di videopoker gestiti o controllati per lo più dalla criminalità, a beneficio dello Stato, ma anche in favore (col tempo) di grandi lobby finanziarie, che sono entrate sul mercato attraverso le nuove concessionarie di questo settore.
Entrambi i settori vennero usati, nel tempo, come “bancomat” dallo Stato sempre in cerca di facili entrate, che si curò poco nel cercare di prevederne uno sviluppo sostenibile.
 
Le società di betting illegali (in quanto non autorizzate in Italia poiché sprovviste di una regolare concessione), con sedi di comodo all’estero, le cosiddette “punto.com”, fondarono tutta una nuova serie di società che iniziarono una concorrenza sleale verso le concessionarie dei Monopoli di Stato, e si arrivò alle sanatorie del 2015 e del 2016; e a tutte le inchieste giudiziarie che portarono alla luce il mondo dei “sottobanchi” e dei siti illegali online. A questo punto, l’evoluzione del settore aveva dato una smisurata forza contrattuale ai grandi gruppi e sempre meno ai gestori e agli ex piccoli concessionari, costretti a loro volta a diventare gestori.
 
Intorno al 2016, grandi fondi comuni di investimento internazionali intuirono la grande redditività delle concessionarie Adm sia del betting e sia delle slot e acquisirono molte di queste, subentrando agli imprenditori che li avevano create. Quest’altra evoluzione diminuì ancora di più il potere contrattuale dei gestori e i loro margini, anche per le sempre più alte richieste di tasse indirette dello Stato, ovvero Preu e Imposta unica.
L’opinione pubblica, intanto, si era resa conto che il fenomeno della cosiddetta (allora) “ludopatia” era in aumento, o che comunque esisteva questo rischio, e la politica (populista) cercò di sfruttare queste situazioni - al pari di come recentemente viene sfruttato il fenomeno dell'immigrazione. Nacque così il problema della chiusura del credito bancario, per motivi teoricamente etici, ma sostanzialmente populisti. Anche se in alcuni casi limitati esisteva veramente il problema riciclaggio.
 

LA DEFINITIVA CRISI CON IL VIRUS - Ma veniamo al giorno d'oggi. L’improvvisa crisi attuale, in seguito all’epidemia del Covid-19, sta penalizzando i gestori del settore gioco e scommesse, molto più degli altri settori, sia per questioni di accesso ai finanziamenti bancari, e sia per il teorico rischio di assembramento nelle sale.
Si assiste oggi a giuste rivendicazioni del settore verso lo Stato, che purtroppo non può ignorare il populismo dei partiti al governo e all’opposizione: quindi, anche volendo, ha le mani legate. Seppure solo in parte. I gestori delle sale oggi sembra quasi che vengano equiparati agli extracomunitari di qualche mese fa. Ma non finisce qui. Se la situazione non si risolverà presto, questo stato di crisi finirà col coinvolgere anche i detentori della proprietà della maggior parte dei grandi concessionari Adm, ovvero i fondi comuni di investimento internazionale, che se non vogliono far fallire il settore, dovrebbero avere l’interesse a fare la loro parte.
 

UNA PROPOSTA: CAMBIARE LE PERCENTUALI DI RIPARTIZIONE DEL PREU - Nasce quindi la proposta di variare, anche provvisoriamente e per un breve periodo, le percentuali di ripartizione del Preu e dell’Imposta unica a carico delle concessionarie e dei gestori, che oggi è intorno al 50 percento cadauno. In alcuni gruppi di operatori organizzati sui social network sta quindi spuntando l’idea di chiedere una ripartizione, anche se provvisoria, del 70 percento a carico dei concessionari e del 30 percento a carico delle sale, che anche quando ripartiranno nella cosiddetta “fase 3”, non potranno operare a pieno regime per gli ingressi contingentati, il distanziamento della clientela, e gli oneri di sanificazione, pur dovendo sostenere tutte le spese fisse di affitto e similari.
Le associazioni dei gestori (e le nascenti entità che stanno nascendo spontaneamente sui social) e quelle dei concessionari comprenderanno che sono sulla stessa barca e che in questo periodo ci vuole una diversa ripartizione degli oneri delle imposte indirette, trovando degli accordi per superare questo stato di crisi?
Sicuramente, molti piccoli gestori di centri scommesse non apriranno ugualmente, e questo comporterà un esubero di diritti Adm disponibili, e possibilmente il travaso tra una concessionaria e un’altra che offrirà maggiori compensi, anche se per il tempo necessario a superare la crisi del Covid-19. In altre parole, i gestori, se in gran parte uniti, oggi potrebbero acquisire una maggior forza contrattuale che nel breve passato non avevano più. Ovviamente non tutti saranno della stessa idea, ma si potrebbe provare lo stesso.
 

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