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Il gioco pubblico tra parità di genere e una duplice discriminazione

22 gennaio 2021 - 12:31

Mentre il gioco rimane chiuso e le donne aspettano di incontrare il premier, il settore si scontra con altre (gravi) discriminazioni: celate o evidenti che siano.

Scritto da Ac
Il gioco pubblico tra parità di genere e una duplice discriminazione

Diciamo la verità: se c'è un settore di fronte al quale la politica applica una perfetta parità di genere è senz'altro quello dei giochi. Continuando cioè a ignorare allo stesso modo sia gli uomini che le donne che appartengono al settore. Questo, almeno, consentendoci la provocazione, è quanto è avvenuto - più o meno sistematicamente - fino ad oggi, attraverso un atteggiamento ostile perpetrato nel tempo, di governo in governo, nei confronti del comparto.

Ora però il premier Giuseppe Conte ha l'opportunità di smentirci. Dando seguito a quella “mezza promessa” di incontro rivolta ieri alla promotrice del movimento di protesta, tutto femminile, che ha pacificamente (e con tanto di omaggi floreali) occupato la piazza di Montecitorio. In un'iniziativa che è riuscita a trasmettere la grave difficoltà in cui si trova l'intero comparto e, al tempo stesso, la difficile situazione che - al di là delle nostre provocazioni - si trovano a vivere realmente le donne che lavorano in questo settore. Quali vittime di una duplice discriminazione: subendo le varie difficoltà che affrontare oggi tutte le donne lavoratrici, a cui si aggiungono gli ulteriori ostacoli a cui vanno incontro gli operatori del gioco. Per un mix che diventa a dir poco letale, in tempi di pandemia.

Al punto che la tematica è stata portata sotto i riflettori (sia pure timidamente) anche da qualche deputato che ha pensato bene di citare il caso delle donne del gioco anche sugli schermi televisivi, dove la materia non trova normalmente grandi spazi di conversazione.

Eppure il gioco pubblico, nella sua globalità e unione di genere, si trova a vivere e a subire un'ulteriore discriminazione. Anzi, altre due. La prima è quella che abbiamo tutti sotto gli occhi da qualche mese, da quando cioè il governo ha iniziato a dettare la linea delle chiusure durante la gestione emergenziale della pandemia, mettendo le attività di gioco in secondo piano (e in ultima posizione) rispetto a ogni altro settore economico del nostro paese. L'unico comparto che non sembra neppure meritare neppure un dibattito o una discussione aperta sull'ipotesi di adottare altri tipi di restrizioni, come le fasce orarie, o geografiche od ogni altro tipo di limitazione che non sia la chiusura totale e senza condizioni.

La seconda discriminazione, però, è se possibile ancora più grave anche se ad oggi appare ancora meno evidente. Si tratta cioè della disparità di “trattazione” (e non ancora di “trattamento”, almeno per ora) tra la materia gioco pubblico e quella del gioco “diversamente pubblico”, come potrebbe essere considerata quella che passa attraverso le case da gioco italiane. Ovvero, i tre casinò del Nord della Penisola (Saint-Vincent, Sanremo e Venezia) per i quali, a differenza degli altri giochi (direttamente) di Stato, si susseguono le prese di posizione da parte di politica (sia di maggioranza che di opposizione) e istituzioni. Regioni comprese. Ovvero, anche quelle stesse componenti del sistema che si trovano a contestare il gioco pubblico, esercitando un potere non pienamente riconosciuto, che ha portato all'annosa Questione territoriale e all'espulsione del gioco legale da tanti territori, si trovano in qualche caso d'accordo con la concessione di eventuali condizioni particolari per la riapertura dei casinò.

Ciò vale, almeno, per le Regioni che sono direttamente coinvolte nella gestione di queste strutture (Liguria, Veneto e Valle d'Aosta), ed appare pure comprensibile, vista la partecipazione diretta o indiretta (cioè attraverso i comuni, come avviene per Sanremo e Venezia) nelle stesse società. Al punto che nessuno sembra ritenere inverosimile pensare a una riapertura delle case da gioco proprio nel momento in cui tutto il resto del gioco viene tenuto con le saracinesche abbassate. Anzi, a dirla tutta, nelle scorse ore è stato addirittura approvato un Ordine del giorno alla Camera - nell'ambito della discussione in Aula alla Camera del disegno di conversione in legge del Dl Natale - che impegna il Governo "ad adottare tutte le iniziative necessarie, al fine di prevedere in tempi rapidi la riapertura dell'attività del Casinò di Sanremo”.

Con la motivazione principale che indica come “gli effetti socioeconomici non possono che determinare benefici, non solo a livello locale, ma anche per l'intero Paese", come spiegato dal firmatario, cioè il deputato della Lega Flavio Di Muro. Oltre a una serie di altre considerazioni, sull'importanza economica e sulla criticità finanziaria, che renderebbero urgente la riapertura. Cioè le stesse identiche argomentazioni che vengono da tempo fornite anche dagli operatori del gioco pubblico, pur rimanendo inascoltate. Mentre, nello stesso tempo, anche al Mef di discute pure della riapertura del casinò di Saint-Vincent.
 
Ecco quindi che, se davvero di dovesse decidere di optare per la riapertura (legittima) delle case da gioco, senza riaprire al tempo stesso le altre attività di gioco, si andrebbe incontro a un'enorme discriminazione nei confronti degli addetti ai lavori, che stavolta non potrebbe probabilmente reggere neppure in tribunale, per quanto evidente. Da qui la possibilità – volendo essere ancora una volta ottimisti – che la battaglia portata avanti al Nord (e non solo) per la riapertura dei casinò, possa finire col favorire, sia pure indirettamente, anche il settore del gioco pubblico, visto che i principi messi nero su bianco in aula alla Camera ricalcano tautologicamente le istanze degli addetti ai lavori di sale slot, bingo e agenzie di scommesse e dell'intero Gaming retail. Che sia quindi arrivato il momento di porre fine alle molteplici discriminazioni subite dagli operatori del gioco? La speranza – si sa - è l'ultima a morire: intanto, potere alle donne (un po' meno, magari, ai casinò).

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