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Il gioco è bello quando è sostenibile

14 luglio 2014 - 09:34

Quella legge non s’ha da fare. Lo ha detto, in buona sostanza, il sottosegretario all’Economia con delega ai giochi, Giovanni Legnini, riferendosi al Disegno di legge sulla ludopatia attualmente sottoposto all’approvazione della Camera dei Deputati.

Scritto da Alessio Crisantemi
Il gioco è bello quando è sostenibile

Un testo che, parte dalla richiesta di intervento in termini di prevenzione e cura delle dipendenza, ma ha finito con l’includere al suo interno una serie di limiti, prescrizioni e divieti che rischierebbero di intaccare se non interdire completamente, l’attività degli operatori del gioco pubblico. Uscendo, di fatto, dalla competenze del testo di legge e della Commissione Affari sociali che ne è promotrice. Oltre a evidenziare un difetto di opportunità che si paleserebbe nel licenziare un testo di questo tipo, proprio ora che il Parlamento è chiamato ad attuare una riforma a tutto tondo sulla materia gioco, pronta a investire l’intero comparto, anche in termini di prevenzione e limitazione del gioco. E sarà quella, dunque, la sede opportuna per intervenire sulla distribuzione e l’offerta di gioco in generale: mentre il Ddl ludopatia potrà, al contrario, (pre)occuparsi di ciò che gli compete: come la cura delle dipendenze e, perché no, l’inserimento effettivo del gioco patologico tra i Livelli essenziali di assistenza per il quale serve trovare una copertura economica. Ma se questo è l’obiettivo, politicamente nobile quanto ambizioso, per raggiungerlo occorre coinvolgere l’industria. E ciò significa, pertanto, sostenere la filiera e non ostacolarla. Sì, perché se quello che manca sono le risorse economiche (tanto per cambiare) per compiere la riforma assistenziale, è evidente che le ulteriori entrate che vengono chieste (giustamente) a gran voce dalle parti sociali (e non solo) posso essere ottenute soltanto dalla filiera del gioco lecito. Per questo limitare eccessivamente – se non addirittura vietare, come chiedono alcuni – l’esercizio del gioco pubblico sarebbe un clamoroso autogol. In primis perché non sparirebbe l’offerta di gioco che sarebbe, al contrario, sostituita da quella illegale: e quindi, insieme al gioco (seppure sotto diverse forme neanche troppo dissimili da quelle lecite), rimarrebbe il problema della dipendenza, che anzi diventerebbe ancor più elevato, tenendo conto che le offerte illecite non sono soggette a prescrizioni specifiche – per definizione – rispetto alle probabilità di vincita, come pure agli importi di entrata, uscita o ai tempi di gioco.

 

Ecco quindi che il gioco pubblico diventa un risorsa, quale baluardo della legalità oltre che salvadanaio, anche per quelli che di gioco non vorrebbero neppure sentirne parlare. Perché, oggi come oggi, occorre fare i conti con la realtà e se il problema era davvero nell’etica e nella moralità di far diventare lo Stato il nostro banco, ormai è troppo tardi per porsi il problema perché non sarebbe più possibile senza invertire la rotta. Almeno, non senza conseguenze terribili per l’economia del paese e la salute dei cittadini.

Per questo è importante favorire il dialogo tra le diverse parti in causa (politica, industria e terzo settore) e cercare una soluzione comune, in grado di rispondere alle esigenze di tutti, che altro non sono, di fatto, che le esigenze del nostro paese. Con un unico obiettivo: rendere il gioco sostenibile. In tutto, e per tutti.

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