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Tra il dire e il fare c'è di mezzo il Preu

03 novembre 2014 - 12:31

Se lo Stato italiano si è sempre distinto per un atteggiamento a dir poco ambiguo, spesso incoerente, in materia di gioco pubblico, il culmine di questo comportamento altalenante si è avuto negli ultimi giorni, con la stesura della Legge di Stabilità e con quella della relazione illustrativa dei tecnici governativi che ne introduce e accompagna l'iter in Parlamento. Anche un occhio poco attento e lontano dal settore non potrebbe fare a meno di scorgere le notevoli incongruenze che caratterizzano l'ultima trovata dell'Esecutivo renziano in fatto di giochi.

Scritto da Alessio Crisantemi
Tra il dire e il fare c'è di mezzo il Preu

E il palese contrasto rispetto alle scelte condotte dal Legislatore nel corso degli anni, che lo stesso governo aveva però legittimato e ribadito appena qualche settimana fa. Pur con qualche riserva, non c'è dubbio, riguardo alla diffusione del gioco e, più in dettaglio, rispetto alle problematiche emerse sui territori e denunciate dagli enti locali, ma conservando alcuni capi saldi del nostro ordinamento: primo su tutti, quello del sistema concessorio come modello di gestione del comparto. Del resto, su questi stessi principi era stata costruita la Legge Delega che si dovrà attuare nei prossimi mesi, con la promessa di una riforma del settore che serva a mettere in sicurezza il sistema e a garantire la sostenibilità del gioco pubblico sia in termini di sicurezza per il cittadino che sotto il profilo della penetrazione (e competenza) sui territori. Magari con un risvolto concreto anche per la filiera, visto che nella legge si parla anche di rivisitazione del modello fiscale e normativo per i vari giochi.
Parole sante, verrebbe da dire. E inevitabile, in questo senso, appare l'assenso del governo rispetto a questi temi. Se non fosse, tuttavia, che la Legge di stabilità, così come confezionata e inviata a Bruxelles, metterebbe in discussione tutto quello che si è appena ricordato. In primis, andando ad abbattere – invece di consolidare – il modello concessorio, introducendo una sorta di tolleranza della rete di scommesse parallela che fino ad oggi veniva considerata il cancro del gioco legale e ora sembra diventare una ulteriore risorsa (salvo poi ritrovarsi, in caso di conversione in legge di un testo del genere, con una serie di ricorsi da parte di tutti i titolari di concessioni che avevano pagato per esercitare l'attività di raccolta attraverso la rete dello stato, che a quel punto non sarebbe più in esclusiva come scritto nella concessione). Inoltre, l'aumento della tassazione sugli apparecchi da intrattenimento previsto nel testo di legge - oltre a risultare potenzialmente insostenibile e tecnicamente inapplicabile, almeno nei tempi ipotizzati – andrebbe a sabotare i contenuti stabiliti dal legislatore nella Delega, a meno che non si voglia cambiare adesso il regime fiscale, per poi aggiornarlo nuovamente nei prossimi mesi, come potrebbe accadere se le singole previsioni legislative avevano un minimo di senso e un ragionamento alla base. Ma se così fosse, lo scenario sarebbe ancora più assurdo visto che l'aumento del prelievo era stato inserito nella Stabilità per via delle esigenze di cassa e per la copertura di quei 18 miliardi che il premier ha promesso al paese. Almeno in teoria. Sì, perché la pratica (ovvero, la relazione illustrativa della manovra) spiega che non ci sarebbe, al contrario, nessuna attesa di nuove entrate da questo intervento sulle slot, se non nel medio lungo periodo attraverso il contrasto all'evasione. Per quel miliardo di euro dalle slot – come annunciato in sede dei Consiglio dei Ministri – che si rivela del tutto virtuale, quasi come a dover mascherare soltanto le clausole di salvaguardia a cui si andrà a ricorrere in caso di mancate coperture della manovra.
In questo clima surreale in cui gli operatori del gioco pubblico si trovano a dover tentare di programmare il proprio futuro, arrivano poi le parole della senatrice Emilia De Biasi, del Partito democratico, che invece di sparare contro al settore – come qualcuno si sarebbe potuto aspettare, dal presidente della Commissione Salute che prima di ogni altra cosa si preoccupa del gioco patologico – invoca la concertazione con la filiera, proponendo l'istituzione di un Tavolo di lavoro permanente che possa mettere a confronto politica, industria e terzo settore. Nell'intento di applicare norme rigide rispetto alla tutela dei consumatori e dei minori, ma che risultino serie, efficaci e, soprattutto, attuabili (cosa non sempre scontata, in questo paese). Parole che suonano particolarmente musicali in un momento in cui il settore rischia seriamente la deriva, ma che al tempo stesso, aumentano le perplessità degli operatori, che nella più totale schizofrenia legislativa  (alternata, va detto, a spazzi di buona politica, come quella evidenziata nelle parole della senatrice De Biasi, che ha reintrodotto concetti sacrosanti come la responsabilità di impresa nella dialettica politica), si trovano a fare i conti anche con gli enti locali che impongono, da più parti, la rimozione dei giochi dai locali, per poi assistere alla sostituzione con il gioco illegale.
La speranza generale, dunque, è che il periodo che si sta attraversando oggi sia soltanto una fase di transizione, utile anche (e soprattutto) al governo, che dimostra di non avere affatto le idee chiare rispetto al settore. E che forse in questi prossimi giorni potrà aggiustare il tiro prendendo una decisione definitiva. Magari pure coerente, una volta tanto.

 

 

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