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L'esulianza del gioco pubblico

10 novembre 2014 - 13:04

Qualche giorno fa il linguista Stefano Bartezzaghi, nella sua consueta rubrica sul quotidiano Repubblica, si era divertito a proporre alcune nuove parole dal significato (ai più) ignoto. Una tra queste era il termine “Esulianza”, che il dizionario (in questo caso, il 'Dictionary of obscure sorrows') definisce così: “La tendenza a rinunciare a parlare di un’esperienza perché nessuno pare capace di entrare in relazione con essa – che sia per invidia, per misericordia o per semplice estraneità”.

Scritto da Alessio Crisantemi
L'esulianza del gioco pubblico

Un termine che potrebbe servire a giustificare la frustrazione degli addetti ai lavori del gioco pubblico e la conseguente carenza di informazioni in difesa del comparto di fronte ad attacchi mediatici (che di questo tempo non mancano affatto, specie sui territori) o ad azioni politiche minatorie. Da non confondersi con la mancanza di contenuti, e quindi di argomenti, utili a ribadire la causa degli addetti ai lavori e i principi fondativi dell'industria che spinsero lo Stato, ormai diversi anni fa, a regolamentare il settore. E proprio in questo distinguo il nuovo termine ci verrebbe in aiuto. Per rendere comprensibile, quasi giustificare, il silenzio pressoché totale (almeno sui media) da parte dell'industria in una situazione di allarme generale come quello attuale. In uno scenario puramente kafkiano, a tratti paradossale. Eppure, così squisitamente italiano.
Mentre nei talk show e sui dibattiti pubblici vanno in scena le proteste, più o meno veementi, delle varie categorie che si dicono scontente della manovra fiscale appena scritta dal governo - ottenendo pure, in qualche caso, la promessa di una revisione delle norme - per il settore del gioco tutto questo non è possibile. E nonostante la Legge di Stabilità, così come scritta e approdata in Parlamento, rischierebbe di compromettere seriamente il futuro dell'industria, minacciandone la scomparsa, gli addetti ai lavori sono costretti a rinunciare ad alzare la voce. Nessuno oggi sembra (voler) capire che dietro al mondo dei giochi esiste una industria. Una filiera economica e produttiva, che significa imprese e occupazione,  quindi famiglie, cittadini, persone. Le stesse che lo Stato vorrebbe (e dovrebbe) tutelare, peraltro. Ma questo non può essere ricordato, perché subito scatterebbe la risposta semi-automatica dei costi sociali (da cui l'obiezione: industria sì, ma a quale prezzo?), della dipendenza, del disagio sociale. Argomenti tutt'altro che banali e che, al contrario, non si devono dimenticare né accantonare neppure un secondo; ma che la stessa industria, va detto, riconosce e tenta di affrontare ormai da anni, nei limiti di quanto gli viene consentito. Ed è qui che nasce il vero paradosso. Perché se questi sono gli argomenti a cui voler dare risposte concrete, la soluzione non è certo racchiusa nell'aumento della tassazione (o, peggio ancora, nella tolleranza della rete illegale!), come previsto dalla Legge di Stabilità. Se un prelievo ulteriore potrebbe forse anche avere senso, allo scopo di destinare risorse per il finanziamento del gioco patologico nel servizio sanitario, non bisogna però dimenticare il principio - più volte già ribadito in Parlamento – del mantenimento di una convenienza del gioco legale, in termini di competitività rispetto all'offerta illecita. Ciò vale sia pensando ai giocatori e quindi all'appeal del prodotto di gioco, che per gli operatori, in termini di ricavi. Pena la ricaduta nel sommerso, sia della domanda che dell'offerta. Principio che la Legge di Stabilità accantona del tutto, tenendo conto che oltre a proporre un elevatissimo rincaro sul prelievo erariale (ben 4 punti percentuali), prevede il ritocco al ribasso delle percentuali di vincita, andando ad attingere (e ancora una volta, per giunta) dalle tasche dei giocatori.
Tutte semplici considerazioni, per molti senz'altro banali, ma che sembra sempre più difficile diffondere, forse proprio a causa dell'esulianza. Per fortuna (e non a caso) però esistono le due camere del Parlamento, che hanno (ancora) voce in capitolo per disporre modifiche ai testi di legge prima della formale attuazione, in modo tale da risolvere anche le più grossolane anomalie. Rispetto al gioco pubblico e alla riforma della tassazione, per esempio, oltre a ravvisarsi una sorta di paradosso già nella relazione illustrativa dei tecnici parlamentari (laddove si interviene con una stangata colossale che prevede il ricambio di tutte le macchine in esercizio senza neppure prevedere delle maggiori entrate), emerge ora la palese incoerenza di questo intervento nel momento in cui la legge delega prevede già una completa riforma del settore con tanto di rivisitazione fiscale. E la Commissione Finanze ha già messo in risalto l'ulteriore paradosso, spiegando come “la complessiva revisione del settore dei giochi pubblici dovrà essere realizzata, in termini organici, in sede di attuazione della delega in materia contenuta nell’articolo 14 della legge n. 23 del 2014”. Quella delle delega è quindi la sede opportuna per applicare tutte le modifiche del caso al settore del gioco, risolvendo ogni anomalia e provando, perché no, a tirar fuori ulteriori risorse. Invece di dover coniare nuove parole o definizioni per descrivere le assurdità che continuano a ripetersi nel nostro paese.

 

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