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Prevenire è meglio che sanare

01 dicembre 2014 - 09:40

Siamo sinceri. Un governo che decide di intervenire rispetto a un settore delicato come quello del gioco, con le sue evidenti ricadute in termini sociali, non può che suscitare consenso. Da parte di chiunque. Specie se l'intervento viene promesso (o, meglio, annunciato, in perfetto stile italiano) in nome dell'interesse pubblico e, quindi, a tutela della cittadinanza. Come non poter essere d'accordo. Per questo, ascoltando le parole pronunciate nelle score oredal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, non sfugge la sua riflessione riguardo al contrasto al gioco illegale, quando dice: La battaglia va fatta non solo contro la criminalità organizzata se si infiltra nel sistema, ma anche contro chi promuove il gioco eludendo i controlli. Parole sante.

Scritto da Alessio Crisantemi
Prevenire è meglio che sanare

Come pure suona assai rassicurante l'impegno del braccio destro del premier, nel dire che "attraverso l’attuazione dell’articolo 14 della legge delega fiscale sarà possibile riformare il sistema del gioco mettendo al centro la salute del cittadino e riducendo l’incentivo al gioco e al rischio". Altro importante, quanto condivisibile, buon auspicio. Per risolvere, o almeno arginare, il fenomeno della dipendenza da gioco. Che sarà pure assai meno allarmante di quanto descritto dai media generalisti e da tanti dibattiti - parlamentari e non -, ma che deve trovare soluzioni concrete aldilà di qualunque sia la sua entità. Così, almeno, in uno Stato di diritto qual è il nostro. Per questo sembrano del tutto inopinabili le parole di Delrio rispetto al gioco patologico: "colpevolmente ignorato", dice, e probabilmente a ragione (anzi, sicuramente, per quanto riguarda la parte dello Stato, un po' meno – e per fortuna – da quella delle aziende della filiera le quali, al contrario, si sono spese in varie iniziative seppure nei limiti di quanto loro consentito dalla normativa). Peccato però che il sottosegretario si spinga davvero troppo oltre, sostenendo non solo che il "Non aver affrontato il problema ha aumentato la patologia" ma aggiungendo che tutto questo "non ha nemmeno creato una entrata crescente per l’erario". Dicendo chiaramente, cioè, che lo Stato avrebbe spinto in maniera forte la diffusione del gioco facendo ammalare gli italiani e senza neppure tirar fuori un quattrino. Una tesi coraggiosa da sostenere, perché delineerebbe uno scenario a dir poco criminale. Che richiederebbe iniziative politiche ben più serie rispetto a una mera destinazione di fondi o una tassazione disincentivante per le slot machine. Eppure la stessa tesi (slogan?) è stata utilizzata appena qualche ora prima anche dal ministro della salute Beatrice Lorenzin la quale, oltre a sostenere (con forza, peraltro) che lo Stato non guadagna con il gioco, ha aggiunto che in realtà ci rimetterebbe anche, dando l'incredibile stima di ben 6 miliardi l'anno come costo sostenuto per i disagi sociali e sanitari che si genererebbero da questa attività. Forse, come dicevano i latini, la verità sta nel mezzo e la sua ricerca è senza dubbio assai più complessa di come appare ai nostri ministri. Tanto da non poter essere ridotta a una misera frase propagandista né tanto meno a una stima grossolana e senza alcun sostegno scientifico. Ma allora, se così stanno le cose, la logica vorrebbe che pure le contro misure dovrebbero essere meno emergenziali – e, soprattutto, meno impulsive ed estemporanee - rispetto a quelle che il governo di preparare ad attuare. Che il principio dell'aumento della tassazione per disincentivare i consumi sbandierato sia dal ministro che dal sottosegretario sia “consentito” anche dall'Organizzazione Mondiale della Sanità per quanto riguarda il contrasto al tabagismo – come ha voluto sottolineare Lorenzin – è noto ed probabilmente pure mutuabile ad altre dipendenze, ma è altrettanto vero che i dati (ben conosciuti dal Mef) hanno dimostrato al tempo stesso che un'eccessiva pressione fiscale porta all'aumento del contrabbando delle sigarette, che oltre a sottrarre fondi allo Stato introduce sul mercato prodotti fuori controllo dal punto di vista della sicurezza e quindi della salute pubblica, senza alcun beneficio in termini di diffusione della patologia se non addirittura con rischi peggiori. Ed è lo stesso principio che lo Stato dovrebbe avere ormai chiaro anche per quanto riguarda il gioco pubblico, con il mercato illegale che non solo continua ad essere presente sul territorio nazionale (la Guardia di Finanza ha stimato un sommerso ancora oggi esistente in grado di movimentare fino a 23 miliardi di euro), ma che potrebbe essere incentivato dalla mancanza di competitività del gioco di Stato. Di questo non si può non tenere conto, al giorno d'oggi. Specialmente in virtù del fatto che non siamo all'anno zero del gioco pubblico ma ci troviamo, al contrario, in un periodo in cui, da quasi quindici anni a questa parte, lo Stato ha contribuito ad accrescere la domanda di gioco negli italiani, o comunque ad inserire questa attività tra i costumi popolari (visto che non è facile capire quanto sia davvero aumentata la propensione al gioco degli italiani, come tutti banalmente evidenziano leggendo i numeri della raccolta, dimenticando che gran parte dei giocatori non sono stati necessariamente “acquisiti” bensì sottratti dal circuito illegale fatto di bische, picchetti, totonero e scommesse clandestine). Per questo non si può ridurre il tutto a una banale equazione matematica, del tipo: più tasse e meno giocatori, perché questo non funzionerebbe. Tanto più se i numeri fossero quelli davvero eclatanti proposti dalla Legge di Stabilità. Quattro punti percentuali di riduzione del payout e di aumento del prelievo erariale scoraggerebbero non solo i giocatori, ma anche quella parte della filiera che già fatica a creare redditività dal proprio business. Perché il mercato del gioco non è (forse non più) la gallina dalle uova d'oro che tutti immaginano e i numeri, anche qui, verrebbero in aiuto. Proprio per questo sarebbe opportuno fare uno studio più attento del settore, sia in termini di industria che di impatto sociale e sanitario, lasciando perdere l'improvvisazione. E i tempi, una volta tanto, ci sarebbero pure, come del resto gli strumenti, con la Legge Delega a portata di mano. Senza bisogno di ricorrere alla Stabilità, visto che, come ha scritto lo stesso governo, non si vorrebbe neppure ricavare nuove entrate da questa rivisitazione fiscale. Del resto è stato proprio Delrio a sottolineare l'assenza dello Stato in termini di prevenzione. Ed è proprio questo che si chiede oggi all'Esecutivo renziano: prevenire, ma in maniera serie. Per evitare la disfatta di un intero comparto economico, senza ottenere risultati significativi in termini di salute pubblica. Evitando, magari, di ritrovarsi con gli ulteriori paradossi politici e legislativi come quelli delle ultime settimane, con lo Stato che, dopo anni di battaglie per sconfiggere la rete di scommesse non autorizzate punterebbe addirittura a una sanatoria per regolarizzarne la posizione, facendo ovviamente cassa da questa operazione. Che sarà pure inevitabile, aarrivati al punto in cui ci si trova, ma sempre in barba ai vecchi principi di distribuzione geografica ragionata dei punti vendita del gioco e alle altre previsioni che verrebbero comunque smarcate. Non sarebbe quindi più opportuno studiare, una volta per tutte, questo settore così complesso e delicato, per una soluzione generale e molto più concreta? E non è proprio questo, peraltro, il principio alla base dell'articolo 14 della Legge delega? Prevenire, è molto meglio che sanare.

 

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