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Il Parlamento torna al centro, il gioco pure

26 marzo 2018 - 09:01

Dopo la nomina dei presidenti di Camera e Senato, si va verso il nuovo governo (incaricato): intanto il Parlamento torna centrale e il gioco subito protagonista.

Scritto da Alessio Crisantemi
Il Parlamento torna al centro, il gioco pure

Dopo le varie convulsioni politiche che hanno portato all'elezione dei presidenti di Camera e Senato, è ora il momento di quelle dei capigruppo, e poi, ancora, delle nomine dei trenta responsabili degli uffici di presidenza. Soltanto dopo Pasqua saranno avviate le consultazioni al Colle, per poi arrivare (finalmente) all'assegnazione dell'incarico al nuovo governo da parte del Presidente della Repubblica. Anche se è ancora presto per capire chi sarà il destinatario del mandato. Secondo molti, Sergio Mattarella potrebbe decidere di affidare un incarico esplorativo: ma in questo caso non si sa se al primo partito (ovvero, il Movimento Cinque Stelle e, in questo caso, a Luigi Di Maio premier), o se alla prima coalizione (e quindi a Matteo Salvini che è il soggetto ad aver preso più voti nel all'interno del centrodestra). In ogni caso, se ciò accadrà, qualunque sia il premier incaricato, verranno subito dopo avviate le trattative tra i vari partiti per il raggiungimento di una maggioranza parlamentare a sostegno del nascente governo.

Per il comparto del gioco pubblico, come noto, il vero spauracchio è rappresentato da un eventuale governo a 5 Stelle, per via della posizione notoriamente proibizionista assunta dal Movimento nei confronti del settore. Eppure, all'indomani dei più recenti sviluppi politici, i timori di una deriva populista (e di una politica “scellerata”, come temevano alcuni) appaiono fortemente ridimensionati. Ascoltando le parole del nuovo presidente della Camera, Roberto Fico, pronunciate in occasione del suo discorso di insediamento, è evidente che i sogni (utopistici) dell'instaurazione di una democrazia diretta, che da sempre hanno rappresentato uno dei leitmotiv dei 5 Stelle e il vero principio ispiratore della loro iniziativa politica, sono stati (inevitabilmente) rimpiazzati dai dettami costituzionali che prevedono la centralità del Parlamento. Come rimarcato in maniera netta e inequivocabile dal nuovo alto rappresentate della Camera dei Deputati. Segno evidente che la politica comporta da sempre una differenza sostanziale tra le teorie ideologiche e le loro applicazioni concrete, che richiedono inevitabilmente di un'opportuna mediazione. Che non è affatto sinonimo di inciucio: rappresentando, piuttosto, il vero sale della democrazia.
Ecco quindi che i “pericolosi” 5 Stelle si mostrano più responsabili di quanto si potesse temere, di fronte alla sfida di un nuovo governo (e, intanto, dinanzi al nuovo Parlamento). Ed è quindi lecito attendersi che lo stesso atteggiamento dovrà essere utilizzato anche nei confronti del gioco, non appena si presenterà il conto. Essendo assai più complesso valutare (e intervenire nei confronti di) una situazione quando si hanno in mano le redini (e i conti) del paese e non si è più all'opposizione.
Se la completa eliminazione del comparto appare da sempre una promessa davvero difficile da mantenere, soprattutto per via dei pericoli che comporterebbe, non solo in termini di entrate erariali ma anche e soprattutto per il ritorno dell'illegalità e la riconsegna di un mercato nelle mani della criminalità, che non aspetta altro. Per un grave passo indietro, dopo quindici anni di gestione pubblica di un settore che non saranno stati perfetti, com'è evidente, ma comunque meritevoli di attenzione, per aver sottratto in maniera quasi definitiva un'economia milionaria alle mafie.
E di certo un governo a 5 Stelle non potrebbe macchiarsi di un errore tanto grave e pericoloso per le sorti del paese e la sicurezza dei cittadini. Ma soprattutto, non ci sarebbe neppure alcuna fretta: tenendo conto della ormai imminente scadenza delle concessioni pubbliche, fissata al 2022, data in cui scadranno i diritti per la gestione delle reti degli apparecchi da intrattenimento ma anche quelli per l'online che stanno per essere assegnati in queste ore, dopo l'allineamento dei titoli concessori disposto dal legislatore.
Del resto, com'è evidente, non ci si può certo immaginare l'interruzione di un mercato e lo smantellamento di un'intera industria dalla sera al mattino e nel pieno dell'esercizio di un diritto concessorio, peraltro pagato pure a caro prezzo. Non è avvenuto sotto i regimi più rigidi, figuriamoci se questo può avvenire in una democrazia parlamentare. Neppure il regime di Fidel Castro, autore di una vera e propria rivoluzione - anche economica e industriale - che portò allo stravolgimento totale dell'economia dell'isola di Cuba, nello smantellamento dell'industria locale del gioco (seppure molto più limitata e meno “garantita”, in termini di titoli autorizzatori, non essendoci certo un regime concessorio), negli anni '60, operò una dismissione forzata né tanto meno immediata, preoccupato della ricaduta in termini occupazionali ed economici più in generale, prima ancora di occuparsi del diritto di impresa, che comunque voleva (o doveva) garantire. Preoccupandosi, invece, di trovare un'adeguata soluzione per la riconversione di quelle attività economiche in altri settori, in modo da scongiurare la perdita di impiego, e di spiegarlo chiaramente ai cittadini. Come poi ha fatto: nonostante si trattasse di un regime. Figuriamoci quindi se a smantellare un intero comparto mettendo per strada centinaia di migliaia di persone possa essere una Repubblica democratica come la nostra. E' evidente che la soluzione al “problema del gioco pubblico” dovrà passare inevitabilmente per una mediazione, tra la posizione - più “diffidente” che conservatrice - del Movimento e l'idea più liberista espressa in precedenza dal centro-destra: soprattutto se i due schieramenti si ritroveranno insieme al governo. Senza bisogno che i “grillini” (o i “giggini”, come li definisce oggi qualcuno) perdano la faccia o vengano accusati di fare retro marcia, spiegando ai cittadini i rischi e le necessità alla base di questo eventuale processo. Visto che il Movimento ha fatto della chiarezza il vero valore aggiunto in tutti questi anni di battaglie politiche e istituzionali e nella sua campagna elettorale. E ora verranno subito messi alla prova, visto che in Parlamento (sia alla Camera che in Senato) si stanno già rincorrendo una serie di richieste relative al tema del gioco.
Tuttavia non si può fare a meno di notare come la scomparsa del gioco pubblico possa essere determinata non solo in maniera diretta dalla politica e senza bisogno di un vero e proprio diktat, ma può essere causata anche in forma indiretta, come sta di fatto avvenendo in vari territori (Piemonte in testa), e pure in maniera premeditata. Da qui la preoccupazione dell'industria, che non può certo ricorrere alla mera speranza, per programmare il proprio futuro. Visto che dietro ad ogni economia, ci sono imprese quindi famiglie, persone, cittadini. E sono loro a chiedere certezze: non una “grande lobby” né un'industria criminale, come si è provato più volte a far credere ai cittadini. Basterebbe girare per le strade (come i 5 Stelle hanno dimostrato di essere bravissimi a fare) e guardare in faccia quei lavoratori che hanno sì scelto un settore scomodo come quello del gioco, ma che non chiedono altro che poter lavorare con sicurezza e dignità (senza peraltro aver mai combattuto instaurazione di regole né l'introduzione di limitazioni). Scoprendo, magari, che anche quelli sono lavoratori – quindi cittadini – come gli altri. Con lo stesso, illogico, stupore, di chi si meraviglia oggi di scoprire che i Cinque Stelle saliti in Parlamento non sono i pericolosi attentatori della democrazia che si pensava fino a qualche tempo fa.

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