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Se lo Stato sceglie di non scegliere sul gioco

30 aprile 2018 - 09:31

Nell'impasse generale in cui si trova il Paese in attesa di conoscere il nuovo Esecutivo, governo uscente e istituzioni rimandano ogni decisione sul gioco.

Scritto da Alessio Crisantemi
Se lo Stato sceglie di non scegliere sul gioco

 

Altro che riordino del gioco pubblico. Mentre il paese continua ad interrogarsi su quali sanno i futuri scenari politici e gli equilibri che potranno portare alla costituzione del nuovo governo, l'Esecutivo uscente – ancora operativo, seppur dimissionario – si guarda bene dal prendere qualunque decisione rispetto al mercato del gioco pubblico. Non soltanto di carattere “politico”, cioè a livello di indirizzo, come potrebbe apparire ragionevole, in tempi di totale incertezza, ma neppure di profilo “tecnico”, attraverso cioè l'eventuale emanazione di provvedimenti attuativi riferibili a decisioni prese in precedenza. Per una fase di stallo totale, in cui l'incertezza domina la scena e determina, in vari casi, il futuro di molte imprese, che si trovano strangolate da norme di carattere locale che nel perseguire scopi nobili come la tutela dei cittadini e della salute pubblica, finiscono – sia pure senza volerlo – col distruggere piccole e grande economie, spesso senza alcun beneficio per la comunità che vorrebbero salvaguardare. Anzi, finendo col comprometterla ulteriormente creando nuova disoccupazione e, quindi, ulteriore disagio sociale. Tutto questo, nel silenzio più generale di quel che rimane di Palazzo Chigi, che fa quasi da contraltare al vociare del Parlamento, dove in entrambe la camere hanno iniziato a rincorrersi, sovrapponendosi, una serie di proposte di legge che chiedono interventi sui giochi. Da quello della senatrice Paola Binetti che torna a chiedere una legge sul gioco patologico, a quello annunciato da Franco Mirabelli del Pd che richiama nuovamente al riordino, fino ad arrivare al più recente disegno di legge depositato nelle scorse ore alla Camera dal deputato dell'Udc Antonio De Poli.


Un silenzio, quello del governo, che in molti ritengono debba considerarsi assenso. Come se lo sgretolamento dell'intero comparto industriale che sembra essersi avviato negli ultimi non fosse un effetto casuale frutto dell'eterogenesi dei fini ma rappresenti, al contrario, il compimento – sia pure indiretto – di una precisa volontà politica, che vedrebbe lo Stato italiano rinunciare a questo settore. Salvo poi ritrovarsi, ancora una volta, con l'approvazione del nuovo Documento di economia e finanza che promette, nello stupore più generale, nuove entrare dai giochi nel prossimo triennio. Nel provvedimento licenziato dall'ultimo Consiglio dei ministri, in effetti, nonostante l'impostazione dichiaratamente “tecnica” e la forma stringata, dovuta all'attuale situazione politica che non permette alcun tipo di previsione politica, vengono fatte alcune inevitabili previsioni anche in materia di gioco. Con il solito profilo “ottimista” che vedrebbe alla voce “coperture finanziarie”, (che ammontano a 10,2 miliardi nel 2018, 10,1 miliardi nel 2019 e 7,4 miliardi nel 2020), rientrano le “disposizioni che disciplinano l’incremento dell’aliquota del prelievo erariale unico applicato sulla raccolta derivante dal gioco attraverso apparecchi automatici tipo slot machine, il contestuale aumento del prelievo sulle vincite superiori a 500 euro conseguite nel gioco del lotto e nelle lotterie istantanee. Ma soprattutto, guardando agli effetti della manovra di finanza pubblica 2018-2020 sull'indebitamento netto della Pa, il governo prevede nuove entrare dalle disposizioni in materia di giochi pari a 120 milioni di euro nel 2018 e 151 milioni, rispettivamente, nel 2019 e 2020, grazie a "gare e proroghe di scommesse, bingo e lotterie istantanee”. Argomenti con cui vorrebbe convincere l'Unione Europea della bontà dei conti pubblici del nostro paese, malgrado tutto; senza però spiegare che in assenza le riforme più volte annunciate ma mai eseguite dai precedenti esecutivi, non si potranno svolgere quelle gare e non si potranno quindi generare quelle nuove entrate. Anzi, al contrario, si potrebbe già stimare senza troppa fatica la diminuzione di entrate che si andrebbe a realizzare nello stesso periodo, dovuta alla riduzione delle slot sul territorio, imposta non tanto e non solo dalla disciplina nazionale che ha “tagliato” il 35 percento del parco macchine a livello generale, quanto piuttosto a quelle di carattere locale che stanno vietando le istallazioni di giochi nei comuni e nelle regioni, o imponendo lo spostamento fuori dai centri storici. Certo questi aspetti sfuggono completamente agli occhi dell'Europa, oppure fuori dai confini nazionali ci si aspetta che il nostro paese possa avere una strategia per gestire la situazione e ristabilire la normalità (almeno apparente) nel settore. Mentre invece, ahinoi, sappiamo bene che non è così. E l'unico piano governativo che si è potuto conoscere rispetto al gioco pubblico è quello miseramente fallito dell'intesa in Conferenza Unificata che sembra ormai del tutto tramontata. In uno scenario sempre più difficile da riordinare: proprio come le idee del nostro Legislatore. Almeno in materia di gioco.

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