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Alla ricerca di nuove coperture

04 giugno 2018 - 09:45

All'indomani della sua formazione, il nuovo governo deve affrontare le prime questioni urgenti, a partire dalla prossima manovra di bilancio: nell'attesa di conoscere il ruolo dei giochi.

Scritto da Alessio Crisantemi
Alla ricerca di nuove coperture

 

Quali saranno le prime misure che verranno adottate dal nuovo governo? E' la domanda che ci si pone, da più parti, in queste ultime ore, dopo l'elezione dell'Esecutivo della scorsa settimana e la nomina dei nuovi ministri. Per gli addetti ai lavori del gioco pubblico, in realtà, la domanda è ancora più specifica e riguarda più che altro il futuro del settore, in attesa di capire quali decisioni vorrà prendere la nuova squadra di governo rispetto alla materia gioco. Partendo dai contenuti del contratto di governo alla base del nuovo Esecutivo, che il nuovo premier Giuseppe Conte ha promesso di voler onorare fino in fondo. Quello che preme capire, anzitutto, è l'ordine di priorità che verrà individuato per provare ad attuare le tante misure abbozzate in quel documento di governo.

Di certo in prima fila nell’agenda fiscale del nuovo governo c’è la cosiddetta “Dual tax”: ovvero, l’evoluzione della meglio nota “Flat tax”, scritta nel programma del centrodestra, con l’obiettivo di aumentare un po’ la progressività rispetto alla tassa piatta “originaria”. Il neoministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha spiegato di vedere con favore la semplificazione e la riduzione del carico fiscale alla base della riforma, ben sapendo però che nel passaggio da un contratto di governo ad un disegno di legge – fino ad arrivare, poi, all'attuazione vera e propria di una legge – sono molti i problemi di fattibilità da arginare. A partire da quello delle coperture. Tuttavia l'indirizzo politico è chiaro, anche per ragioni di “bandiera”, con la riforma fiscale destinata a rappresentare una delle misure chiave dell’esecutivo giallo-verde. Prima di tutto, però, bisognerà vedere che tipo di strategia intenderà adottare il neonato governo Conte in vista della legge di Bilancio attesa per metà ottobre. Un primo, importante, banco di prova che permetterà di individuare l'approccio dell'Esecutivo in materia economica, e magari anche quello rispetto al settore del gioco pubblico. Tra clausole Iva da disattivare - per un totale di 12,4 miliardi di euro da ricercare  - spese indifferibili da finanziare (per altri 4 miliardi circa) e correzione del deficit (10 miliardi), la prossima manovra parte da una base di 25 miliardi. Con il rischio di aumentare addirittura fino a 40 miliardi qualora si decidesse di cominciare a onorare alcune delle promesse elettorali, confermate nel Contratto di governo. Possibile pensare davvero di rinunciare alle entrate provenienti dai giochi? Di certo non adesso.
Lo spauracchio più grande, per tutti, è senz'altro quello dell’aumento Iva, rispetto al quale tutte le forze politiche si sono dichiarate a favore della sterilizzazione degli aumenti che scatteranno dal prossimo anno, con l’Iva che passerebbe dal 10 al 12 percento e dal 22 al 24,2 percento. Con l'ipotesi alternativa, tuttavia, (che potrebbe passare con il nuovo governo anche sulla base delle sollecitazioni giunte sia dalla Banca d'Italia che dalla Commissione Ue) che si possa aumentare l'aliquota ordinaria di un punto, aprendo così lo spazio (di circa 4 miliardi) per finanziare il primo “modulo” della flat tax. Per la copertura delle clausole Iva, l'Esecutivo potrebbe puntare sul confronto con Bruxelles per spuntare una maggiore flessibilità, oppure spingere il deficit anche oltre l’asticella del 2 percento, al di là di ogni parere preventivo dell'Europa. Ma col rischio, in questo caso, di una procedura di Infrazione per disavanzo eccessivo originato dal mancato rispetto della regola del debito, e del pareggio di bilancio. Qualunque sia la soluzione che intenderà adottare il nuovo governo, è evidente che le coperture a supporto dovranno essere più che solide: a prova di mercati e delle agenzie di rating, dal cui giudizio dipende la nostra capacità di finanziare il debito, come si è reso evidente nelle scorse ore, con l’impennata dello spread.
Difficile, dunque, pensare che il governo possa mettersi al lavoro per far sparire l'offerta di gioco pubblico: almeno non da subito. Per una evidente questione di priorità, ma anche (e soprattutto) per le problematiche di copertura economica sopra indicate. Più probabile, semmai, pensare che possano essere introdotte misure sui giochi – comunque non ontologicamente abolizioniste – all'interno di una più ampia riforma fiscale, magari dietro a un dibattito in sede parlamentare. La scelta che potrebbe fare il nuovo esecutivo, tuttavia, per mostrare anche qui una certa coerenza con la linea (e le promesse) espressa in campagna elettorale, è quella di proporre un divieto totale della pubblicità del gioco, dimostrando quindi la propria avversione nei confronti della materia, proprio come dichiarata in passato. Sul punto, basta guardare i primi movimenti avvenuti in Parlamento, dove nelle due camere si alternano già diverse proposte e disegni di legge che vanno in questa direzione, quando ancora non sono neppure costituite le varie Commissioni. Anche se questo obiettivo potrebbe apparire più facilmente raggiungibile per il nuovo governo e per il parlamento a maggioranza giallo-verde, anche perché meno “impattante” rispetto ai conti pubblici, in realtà tale soluzione è comunque contraria alle indicazione della Commissione Europea e, soprattutto, in totale disaccordo rispetto ai diritti di impresa sanciti dalla Costituzione visto che, alla base delle attività dei titolari di concessioni di gioco, soprattutto quelle online, c'è anche la possibilità di promuovere le proprie attività. In particolare, chi lavora unicamente sul canale digitale, senza punti “a terra”, ha come unico strumento per proporsi quello delle promozioni pubblicitarie e delle sponsorizzazioni. Smettendo quindi di esistere, almeno agli occhi dei consumatori, se impossibilitato a fare pubblicità. Ciò significa, pertanto, che un tale mercato, senza la pubblicità, non avrebbe senso di esistere e, al tempo stesso, quella concessioni – pagata profumatamente dai suoi titolari – non avrebbe più valore. Ma oltre al danno economico per l'industria, dicevamo, una tale misura sarebbe del tutto incoerente, oltre che pericolosa, a livello “politico” e istituzionale: come ha già spiegato la Commissione Ue nella sua raccomandazione del 2014 nella quale mette per iscritto che un divieto di promozione dei giochi renderebbe indistinguibile l'offerta legale da quella illegale, costituendo quindi un serio rischio per la tutela dei consumatori. Andando quindi in direzione decisamente opposta rispetto alle esigenze di tutela richiamate dalla Commissione e dai singoli Stati.
Per capire come intenderà muoversi il nuovo governo in materia economica e rispetto ai giochi bisognerà però attendere le prossime settimane. Guardando con attenzione anche le prime mosse che verranno compiute dal dal nuovo ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Economista di spicco a livello nazionale, che appartiene alla scuola di pensiero dei neokeynesiani. Vale a dire, quella corrente dell'economia che rappresenta l’ala più ortodossa nelle scienze economiche e forse più coerente con il profilo politico conservatore e destrorso. I neokeynesiani asseriscono che, in un contesto recessivo, la mancanza di investimenti privati può essere compensata (non sostituita completamente) da investimenti pubblici che, dando potere d’acquisto alle famiglie, stimolando il consumo, riaccendendo le prospettive di profitto delle imprese riportano la macchina dell’economia sulla giusta carreggiata. L’intervento dello Stato, quindi, non è una cura per l’economia “malata”, ma una precondizione per l’attività dei privati e, se vogliamo, una garanzia per le libertà collettive e individuali. Anche se il Ministro, qualche settimana prima della sua nomina, in un commento alle misure proposte da Lega e 5 Stelle nelle prime bozze del contratto, aveva criticato alcune scelte e guardato addirittura in favore all'aumento dell'Iva per finanziare la “flat tax” o una sua evoluzione concettuale. Ma adesso, conti (pubblici) alla mano, insieme al timone di guida del paese, alcune idee potrebbero cambiare o comunque essere sensibilmente modificate. Staremo a vedere.

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