skin

Si fa presto a dire basta: e il contratto viaggia in salita

11 giugno 2018 - 10:17

All'indomani delle votazioni comunali, si rafforza il fronte leghista ma cede il 5Stelle: mentre a livello nazionale il governo rivede le posizioni iniziali.

Scritto da Alessio Crisantemi
Si fa presto a dire basta: e il contratto viaggia in salita

Una cosa è certa: il governo avrà molto da lavorare, da qui in avanti. Su tutti i fronti. Specialmente per provare a portare a casa i punti alla base del contratto di governo siglato tra le due forze politiche di maggioranza e davanti ai cittadini. Quel documento, cioè, che ben conoscono gli addetti ai lavori del comparto giochi, in quanto propone, in uno specifico paragrafo, anche una battaglia (ulteriore) contro il gioco pubblico. Seppure in maniera apparentemente raffazzonata, come già illustrato nei giorni scorsi su questo Quotidiano. Ma tant'è. Oggi, però, quello stesso contratto di governo sembra contenere molte meno certezze e qualche “dogma” in meno, rispetto a quanto si poteva affermare fino a qualche tempo fa.

Non solo per via delle tante critiche sostanziali ricevute da più parti (non ultima, quella del professor Gustavo Zagrebelsky, che sulle pagine di Repubblica si getta all’attacco del contratto di governo Lega-M5S, definito “doppio” perché i due contraenti, dice, hanno interessi divergenti da cui discende la mancanza di qualsiasi sintesi politica), ma anche – e soprattutto – in seguito all’intervista rilasciata dal ministro dell'Economia Giovanni Tria al Corriere della Sera, con la quale, evidentemente, si voleva rassicurare i mercati, provando a fornire prospettive di stabilità (e di credibilità) per il paese. Ottenendo tuttavia l’effetto di far preoccupare chi credeva alle promesse più estreme del governo del cambiamento. Stando alle parole del nuovo titolare delle casse del paese, la linea politica-economica – così come proposta oggi – sembrerebbe decisamente in linea con il passato per quanto riguarda l'euro e il debito pubblico, con attenzione particolare (anche) sulla sostenibilità degli interventi sulle pensioni: “materia su cui non si improvvisa”, spiega Tria. Mostrando anche una scarsa propensione nel ricorrere ad un aumento del deficit per rilanciare la crescita. Al punto che in molti, all'opposizione, hanno ironizzato dicendo: “O il ministro dell’Economia non ha letto il contratto di governo o forse lo ha letto e non ne ha condiviso una sola parola”, come sintetizzato dall’ex ministro Sandro Gozi del Pd.
E' evidente, in realtà, che la vera necessità del momento era (ed è ancora) quella di mandare messaggi tranquillizzanti ai mercati. Mentre al Ministero si è già al lavoro per una ricognizione sulle coperture e sul gettito delle singole misure del “Contratto”. Per provare a fare il punto proprio in questi giorni sulla fattibilità dei programmi governativi. Quando sono molti gli aspetti critici e i conti che sembrano non tornsre, almeno nelle stime. Si pensi per esempio all'annunciata “pace fiscale”, vale a dire la sanatoria sulle liti tributarie (la quale, forse non a caso, non viene neppure citata da Tria), che il leghista Armando Siri ritiene potrebbe dare 35 e 25 miliardi in due anni successivi e che gli esperti ritengono, invece, non possa superare i 20 miliardi. Nel frattempo il nuovo ministro ci va cauto. E a ragione. Rinviando a settembre la nota di aggiornamento del Def, la cui preparazione “seguirà ad un dialogo costante con la Commissione Ue”. Spiegando che qualunque mossa sarà sempre orientata alla sostenibilità. Com'è senz'altro inevitabile.
Anche per questo la linea politica ed economica appare nelle prime ore piuttosto continua rispetto a quella dei precedenti esecutivi. E per le stesse ragioni, appare sempre più improbabile una rinuncia da parte del governo alle entrate provenienti dai giochi, di cui si parlava fino a qualche tempo fa. Salvo poi essere stato momentaneamente accantonato come argomento, avendo (ci auguriamo) ben altre priorità. Non può certo sfuggire, in effetti, come anche il precedente esecutivo guidato da Paolo Gentiloni e prima ancora quello di Matteo Renzi, nonostante un'evidente avversione nei confronti del gioco (che mai fino a quel momento aveva conosciuto momenti così scuri, ricevendo una serie di provvedimenti restrittivi e aumenti delle imposizioni), non avesse mai annunciato una futura scomparsa del mercato: pur perseguendo comunque tale linea politica, almeno stando ai fatti, come sentenziato da molti. Al contrario, nei provvedimenti condivisi con l'Europa e nelle varie manovre fiscali (ordinarie e aggiuntive), veniva sistematicamente indicato tale comparto come una base per il recupero di risorse, spesso anche nuovo o aggiuntive. Per le evidente difficoltà non solo nel far quadrare i conti a fine anno, ma anche nel convincere Bruxelles sulla tenuta economica della Penisola. Figurarsi, quindi, se possiamo permetterci oggi di rinunciare (o anche solo annunciare) “l'uscita dai giochi”, che rischierebbe di fare la fine di quella dall'euro. Inserita e poi stralciata dai piani di governo, per poi essere addirittura rimangiata dai suoi stessi fautori.
Quello che invece potrebbe accadere in tempi brevi – come già anticipato – è l'adozione di un provvedimento “tampone”, da parte del governo, sospinto dall'area 5 Stelle, sulla pubblicità dei giochi, con l'ipotesi di arrivare un divieto totale delle promozioni, sui vari canali. Nonostante le varie criticità (e la potenziale incompatibilità con le raccomandazioni dell'Unione Europea) che porterebbe con sé un provvedimento di questo tipo, soprattutto in termini di contrasto all'illegalità. Proprio nel momento in cui l'Italia conquista il “primato” a livello continentale, come paese con la maggiore evasione Iva: nonostante il trend generale, a livello europeo, sia di una generale diminuzione: come illustrato nel rapporto “Vat Gap” pubblicato dalla Commissione Ue. Solo in Italia, dunque, continua a crescere l'evasione. E pensare che proprio nel gioco, in particolare quello online, si è registrato una forte conversione di imprese che prima operavano in maniera illecita o border line e che ora si sono convertite alle leggi italiane, iniziando a pagare tasse nel nostro paese, grazie alla moral suasion eseguita dall'Amministrazione negli scorsi anni (che ha costretto i fornitori di giochi online ad intrattenere rapporti solo con soggetti titolari di concessione in Italia, pena l'uscita dal nostro mercato) e, soprattutto, al fatto di aver reso competitivo il nostro settore, adeguando l'offerta alla domanda dei giocatori e, quindi, rendendo competitivo il canale lecito rispetto all'illecito. Con risultati evidenti. Uno sforzo enorme e pure particolarmente efficace, che rischierebbe di essere vanificato nel caso in cui si dovesse davvero decidere di vietare la pubblicità dei giochi, tenendo conto che l'unico modo che hanno le società di gioco online legali in Italia per proporsi agli utenti e, quindi, per distinguersi dagli illegali, è quello di comunicare la loro esistenza. Con un divieto che, al contrario, renderebbe indistinguibili le due realtà contrapposte. Senza andare a scalfire in nessun modo la domanda, c'è da scommetterci.

Articoli correlati