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Azzardo senza futuro

23 luglio 2018 - 08:42

Con il Dl Dignità si delinea uno scenario terribile per l’industria del gioco, ma anche per sport, cultura e media, e i quiz in Tv.

Scritto da Ac
Azzardo senza futuro


Questo è soltanto l’inizio. Lo ha detto chiaro e tondo il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio,
commentando il divieto (totale) di pubblicità dei giochi contenuto nel decreto Dignità. Per molti, invece, si tratta della fine. La fine dei giochi, appunto.

Lo è per le aziende del comparto, che vedono in pericolo la propria attività, forse per sempre: accade alle imprese di gestione che lavorano nel segmento degli apparecchi da intrattenimento, le cui attività sono state già seriamente compromesse, in questi ultimi anni, dalla normativa territoriale; a cui si è aggiunto, lo scorso anno, un forte aumento dell’imposizione fiscale, che viene oggi addirittura incrementato dallo stesso decreto Dignità. Per compensare il calo di entrate stimato dai tecnici del governo che
dovrebbe scaturire dal blocco di ogni promozione.

 

E lo stesso accade per altre aziende del settore, di piccola, o media grandezza, ma anche di livello internazionale: visto che all’indomani dell’entrata in vigore del decreto – come documentato da questa testata – chi aveva puntato sul mercato italiano acquisendo una concessione per operare nel segmento online, si vede costretto a fare marcia indietro. Interrompendo la costituzione di nuove strutture nel nostro Paese, come impone la normativa nazionale.
 
 
Generando così ulteriori perdite, legate al cosiddetto “indotto” che era stato nuovamente stimolato dalla nuova gara per le concessioni: dalle varie startup innovative attive nella creazione di giochi e servizi, ai provider e fornitori b2b in genere, e così via.
Mentre le aziende internazionali già consolidate e leader in Italia, al tempo stesso, si vedono costrette a smantellare parte delle loro strutture, per via di una serie di attività che vengono impedite dalla nuova legge (affiliazioni, comunicazione, campagne marketing e così via). Insomma, nel gioco, gli effetti negativi sono molteplici e più che evidenti. Ma il dissesto non è confinato unicamente all’interno del settore. Anzi. A uscire compromessi dall’adozione di un provvedimento di questo tipo sono anche altri comparti dell’economia nazionale per i quali, anche se l’effetto sarà indubbiamente minore rispetto a quello subito dall’industria del gioco, l’impatto sarà comunque notevole.
 
 
Vale per le telecomunicazioni e l’editoria, visto il grande movimento di denaro che
circola per giornali, radio e tv attraverso il gioco, ma vale anche, purtroppo, per il mondo dello sport e della cultura, visto l’impossibilità di continuare a finanziare il qualunque modo squadre o strutture sportive, come pure eventi, manifestazioni e iniziative, anche di carattere culturale o artistico. E anche e questi settori troveranno – come suggerisce Di Maio – altri sponsor per poter andare avanti, è evidente che il contraccolpo sarà comunque notevole e difficilmente sostenibile, dopo anni di sponsorizzazioni ormai storiche e consolidate che hanno reso stabili vari bilanci aziendali (anche pubblici) i quali dovranno ora essere rivisitati, d’urgenza. Rendendo ancor più
evidente non soltanto la miopia (o, secondo molti, l’inutilità) di una misura di questo tipo, ma anche l’insostenibile modalità con cui viene imposta: senza nessun preavviso, alcuna fase transitoria, eccetto la mera disposizione del mantenimento dei contratti in essere (e ci mancherebbe altro!), comunque a scadenza limitata (un anno appena). Insomma, senza una precisa exit strategy, di cui ci sarebbe assolutamente bisogno, per tutti.
 
 

Ma non finisce qui, dicevamo in apertura. E continua a ripeterlo il ministro del Lavoro, a cui non manca evidentemente il coraggio, nell’esercizio di suo ruolo, tenendo conto che la perdita di occupazione che scaturirà da questa legge, ricadrà puntualmente nel bilancio della sua attività governativa. E chi vede un paradosso nell’idea che il ministero del Lavoro provochi la perdita di posti di lavoro (non avendo previsto alcuna conversione dei posti di lavoro che si andranno a perdere, proprio perché manca una exit strategy) dovrà pensare ad altro. La coerenza è tutto, per il 5 Stelle: avevamo promesso una guerra all’azzardo, e così sia, si sente ripetere all’infinito. Se questo è vero, dunque, c’è da credere al ministro anche quando afferma che proseguirà nella battaglia “anti-gioco”, anche ben oltre al decreto Dignità. Mettendo di nuovo nel mirino le slot machine (come se ce ne fosse bisogno, per quel che rimarrà, del settore, nei prossimi mesi), e non solo. Allora, in nome della coerenza, c’è da attendersi a questo punto anche molto di più. Per esempio, andando ad eliminare – e da subito – anche i quiz in televisione e tutti quei programmi che propongono, promettono e fanno sognare agli italiani vincite milionarie. Coltivando i cittadini all’azzardo – per dirla con linguaggio affine a quello del Movimento – e diffondendo il Demone del gioco tra la popolazione.
 
 
Del resto, tra le promesse avanzate dal 5 Stelle ai propri elettori, c’era anche quella di stravolgere interamente la Rai, che guarda caso è proprio la maggiore “casa” dei quiz show. Allora, coerenza sia. E per l’azzardo sarà veramente la fine. Insieme a tutto il resto, però. Per questo, il vero azzardo, è proprio quello compiuto dal governo, con queste misure: con tanto di “bluff” sui numeri (quei sei miliardi di spese sanitarie, sono davvero difficili da sostenere, anche con la più totale fiducia) e una posta in palio da fare paura. Un azzardo puro, ma senza futuro.
 

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