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Oscurantismo 4.0

29 ottobre 2018 - 10:34

Tra populismi, scetticismi e ideologie, continua a prendere il largo il pensiero oscurantista nei confronti di un unico settore: quello del gioco.

Scritto da Alessio Crisantemi
Oscurantismo 4.0

 

Abbiamo speso fiumi di inchiostro e occupato svariate pagine elettroniche per sottolineare, ribadire e dimostrare l'inutilità e la pericolosità di un approccio proibizionista rispetto a materie complesse e delicate come quelle che possono provocare dipendenza. In riferimento, com'è evidente, al mercato del gioco con vincita in denaro, confrontandolo, anche dal punto di vista storico e politico, a quello degli alcolici o del tabacco. Due settori, quest'ultimi, in realtà ben più pericolosi rispetto a quello del cosiddetto “azzardo”: se non altro per via del fatto che le dipendenze ad essi legati arrivano anche a causare la morte del soggetto affetto dalla patologia, e pure in un  numero di casi piuttosto rilevante, come dimostrano i tantissimi studi e indagini condotti sul campo. A differenza di quanto non può avvenire, e per fortuna, con la dipendenza da gioco.

Ciò non deve certo distogliere l'attenzione nei confronti dei rischi comunque legati alla dipendenza da gioco (ci mancherebbe altro) che necessita comunque una particolare attenzione da parte del Legislatore e delle strutture sanitarie preposte. Ma l'evidenza dei dati e quella scientifica non giustificano la differenza di approccio da parte dello Stato nei confronti di queste materie complesse: non in Italia, almeno. Unico paese in cui, di fronte  agli oltre 430mila morti l'anno a causa dell'alcol e all'incremento delle vittime da tabagismo – supportati da numeri incredibili sulla diffusione delle relative dipendenze – si continua a far finta di nulla rispetto alla distribuzione di questi prodotti, intervenendo, al contrario, nei confronti del gioco. Unicamente, contro il gioco. Introducendo un divieto assoluto di pubblicità e una serie di limitazioni – a livello locale oltre che nazionale – che stanno facendo scomparire l'offerta di gioco dai territorio, ma solo quella legale. Con l'evidente paradosso che, a partire da luglio del 2019 (data in cui scadrà il periodo “transitorio” sancito dal Decreto Dignità per l'esaurimento dei contratti pubblicitari già in essere che possono essere portati a compimento entro quella data), nei pubblici esercizi italiani non potranno più essere promossi prodotti di gioco con vincita in denaro, mentre continueranno ad essere esposti in bella evidenza alcolici, tabacchi, e ora pure i prodotti a base di cannabis.
 
Tutto questo mentre in varie località della Penisola verranno fatte sgombrare slot machine e altri prodotti di gioco (legali) a causa delle leggi regionali che ne determinano l'incompatibilità con il territorio: aprendo la strada al ritorno dell'offerta illecita che andrà inevitabilmente a rimpiazzare quella di Stato, attraverso il ricorso al cosiddetto “distanziometro”. Per un altro evidente paradosso in cui un prodotto di Stato viene dichiarato illegittimo da una declinazione dello stesso Stato, qual è la Regione. Altro aspetto che scriviamo e ripetiamo da tempo.
 
Ma se il proibizionismo rappresenta uno “strumento” politico che la storia ha dimostrato essere inefficace e addirittura controproducente, la soluzione del distanziometro rappresenta oggi un altro mezzo non solo inefficace ma anche sbagliato dal punto di vista tecnico. Anche qui, ancora una volta, parlano i dati. E lo dimostrano i vari studi condotti sulla materia e le varie perizie tecniche realizzate sui territori e prodotte nei vari procedimenti in corso in tanti tribunali italiani.
 
L'ultima indagine, presentata durante lo scorso fine settimana in Puglia, in occasione di un dibattito di approfondimento sulla legge regionale contro il gioco pubblico, ha visto l'Istituto Eurispes evidenziare la pericolosità dell'approccio restrittivo adottato dal Legislatore locale, sia in termini di occupazione ed economia, ma dal punto di vista della legalità e tutela dell'ordine pubblico, mostrando i dati relativi all'impatto della legge regionale sul territorio. Ma prima ancora, come detto, il distanziometro comporta un errore tecnico in sé, perché non idoneo a perseguire gli scopi che la stessa amministrazione pubblica che lo adotta intende perseguire. Visto che, invece di limitare e contenere l'offerta, nella sua applicazione più diffusa a livello regionale, finisce col vietare quasi completamente l'offerta di Stato. Causando quell'ormai celebre “Effetto Espulsivo” di cui ci siamo occupati fin troppe volte su questo quotidiano. Ma non ancora abbastanza, evidentemente, visti i risultati. E se le finalità dichiarate dalle Amministrazioni regionali, come nel caso specifico della Puglia, che qui citiamo, sono dirette “alla prevenzione e al contrasto delle dipendenze da gioco, nonché per il trattamento terapeutico e il recupero dei soggetti coinvolti, nell’ambito delle competenze regionali in materia socio-sanitaria; alla diffusione e alla divulgazione dell’utilizzo responsabile del denaro attraverso attività di educazione, informazione e sensibilizzazione in modo corretto, veritiero e trasparente, anche in riferimento ai contenuti dei diversi giochi d’azzardo; al rafforzamento della cultura del gioco misurato, al contrasto, alla prevenzione e alla riduzione del rischio della dipendenza da gioco”, come può un divieto pressoché totale dell'offerta di gioco controllata (perché tale è quella disciplinata dallo Stato) agire in maniera utile e funzionale? È invece evidente il contrario: ma non abbastanza, a quanto pare. In un contrasto sempre più netto tra la teoria e la pratica che contraddistingue, da sempre, la politica e condiziona, svilendolo, il processo democratico. È evidente fin dai tempi di Platone, il cui pensiero politico puntava proprio a non perdere di vista il significato e il valore di ogni azione. Come viene rispolverato oggi in una raccolta di saggi pubblicata proprio in questi giorni da Raffaello Cortina (“Platone”), in cui l’ultimo saggio proposto, quello sulla post-verità, si concentra proprio sul tema (attualissimo) della democrazia, sul suo significato, sul suo valore. Con una forte critica a quel regime politico che causa corruzione, manipola l’opinione, provoca demagogia. Altri tempi, ma non troppo, evidentemente. Da qui l'importanza della lezione filosofica che occorre ricavare: non dare nulla per scontato. Né in un senso, ma neppure in quello opposto. Che nel caso del gioco pubblico e della sua regolamentazione, vorrebbe dire: evitare di perseguire battaglie ideologiche (peggio ancora se soltanto a scopi elettorali), ma senza bisogno di mantenere necessariamente lo status quo. Ricercando soluzioni utili, concrete, efficaci. E, soprattutto, democratiche. Basandosi sul dialogo, il confronto, la concertazione. Senza passare per Diktat, divieti e propagande “sfasciste”, come invece troppo spesso avviene. Sia a livello locale, ma anche (e soprattutto) a livello centrale: com'è evidente dall'introduzione del Decreto Dignità. E chissà cosa avrebbe detto Platone, del ricorso a un nome così altisonante per una legge che sembra avere più vizi che virtù.
 
Intanto nel nostro paese e nell'Occidente più in generale si parla di tecnologia, di crescita e sviluppo e di industria 4.0: salvo poi non essere in grado di occuparsene, in concreto, con la legge che si trova sistematicamente ad inseguire il progresso, mai ad anticiparlo. Dando vita a provvedimenti frettolosi, incompleti, inefficaci, che finiscono col compromettere ogni possibilità di sviluppo, lasciando sempre indietro ogni logica di sostenibilità. E finendo col proporre divieti, invece di cercare soluzioni.

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