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Perché servono gli Stati Generali del gioco pubblico

25 marzo 2019 - 10:08

Nella settimana in cui il governo apre gli Stati Generali di diversi settori, non c'è ancora traccia del Riordino del gioco pubblico, nonostante l'urgenza e la necessità. 

Scritto da Alessio Crisantemi
Perché servono gli Stati Generali del gioco pubblico

 

Della rivoluzione generale promessa e annunciata dal “governo del cambiamento” durante la campagna elettorale, ormai (teoricamente) conclusa più di un anno fa, ciò che rimane oggi è l'avvio di una serie di tavoli di lavoro mirati ad intervenire in settori strategici del nostro paese. Alcuni dei quali prendono in via proprio questa settimana, caratterizzata dall'apertura di alcuni Stati Generali: come quelli dell'Informazione e dell'Editoria – inaugurati dal premier in persona - che promettono di rivoluzione il mondo dei media, a quelli delle Piccole e media imprese, che vedranno partecipare il governo in pompa magna: dal ministro degli Interni, al vice ministro dell'Economia e così via.

Uno strumento - quello degli Stati generali, cioè della consultazione pubblica - a cui si è soliti ricorrere anche per questioni meno rilevanti, o comunque non di primaria importanza: come quello della diffusione della lingua italiana nel mondo (la cui terza edizione è andata in scena lo scorso ottobre).

Peccato non poter assistere anche agli Stati Generali del gioco pubblico. Nonostante l'assoluta rilevanza della materia in termini economici, politici e giuridici, visti i tanti fronti aperti attorno alla materia. Anche alla luce di quell'annunciato Riordino del comparto annunciato dal governo attraverso il decreto Dignità, ma non ancora attuato né tanto meno discusso. Uno scenario ideale per una consultazione pubblica in grado di coinvolgere tutti gli stakeholder, mettendo al centro l'interesse pubblico e dei cittadini: proprio come si vuole fare oggi con il mondo dell'Editoria. E chissà perché non si può fare con il gioco.
Certo, va detto, una discussione generale sul tema del gioco darebbe adito anche a molte polemiche, finendo col generare un polverone difficile da domare, tenendo conto dei tanti fronti abolizionisti, più o meno organizzati, che vorrebbero la scomparsa di questo settore, pur conoscendone i rischi, inevitabilmente legati a ogni politica proibizionista. Ma il dibattito avrebbe comunque il merito di portare a quell'agognata riorganizzazione del comparto che tutti attendono da troppo tempo. Per un vero e proprio Riordino, ovvero una riforma degna di tale nome, che possa definire una linea definitiva e una strategia politica da portare avanti, una volta per tutte. Qualunque essa sia. Invece di continuare con l'insopportabile lassismo a cui si assiste negli ultimi anni, che vede un'intera industria sprofondare, giorno dopo giorno, a causa del mancato intervento dello Stato di fronte a problematiche emergenti. Com'è evidente dall'esplosione della Questione Territoriale che vede oggi ogni regione italiana titolare di una legge locale sui giochi, pur rimanendo vigente la Riserva di legge sulla materia, in virtù della quale la regolamentazione del comparto dovrebbe passare unicamente per il governo centrale. Un paradosso immenso e ingiustificato, pur essendo sotto gli occhi di tutti: senza che nessuno se ne preoccupi realmente. Finendo, anzi, col renderlo ogni giorno sempre più complesso ed evidente, con proliferare di leggi e disposizioni che intervengono aggiungendo limiti e restrizioni, oltre ad aumenti della tassazione.
Eppure l'Esecutivo gialloverde aveva messo nero su bianco la sua volontà di riformare l'assetto del gioco pubblico italiano anche nel proprio contratto di governo: annunciando, addirittura, la cancellazione totale del comparto, salvo poi rendersi conto di non poterlo fare, ma non (solo) per ragioni economiche, quanto più che altro per i rischi che questo comporterebbe in termini di sicurezza e ordine pubblico e di ritorno dell'illegalità e del sommerso. Che il mancato riordino sia quindi dovuto anche al rischio di “immagine” a cui potrebbe andare incontro il governo, proprio in virtù di questo cambio di linea nei confronti dei giochi? Reso ancora più discutibile, peraltro, dai piani economici adottati negli scorsi mesi, che metterebbero le entrate provenienti dal settore alla base della sostentamento dei conti pubblici, rendendo necessario il fatto che gli italiani continuino a giocare. Forse, è proprio questo il punto. Soprattutto in vista delle prossime elezioni europee, accompagnate dalla notevole perdita di consenso registrata dal Movimento 5 Stelle – autore della battaglia politica contro il gioco – certificata dalle varie elezioni comunali e regionali e non solo dai sondaggi. Sta di fatto però che una discussione aperta e generale sul tema – o quanto meno l'avvio di una consultazione - avrebbe il merito di avviare un percorso di riforma che nessuno potrebbe vedere di cattivo occhio. Offrendo un'opportunità generale di discussione e valutazione dei tanti problemi e provando a individuare soluzioni sostenibili e in linea con le esigenze dei consumatori. In maniera analoga a quanto era stato fatto nel 2013, quando il Parlamento aveva attivato una Commissione di inchiesta sul fenomeno del gioco d'azzardo, che aveva portato alla legalizzazione degli apparecchi da intrattenimento e alla nascita vera e propria del comparto del gioco pubblico. Altri tempi, probabilmente. Ma solo fino a un certo punto. Mentre il gioco, in perfetta continuità con il passato, continua ad essere una materia scivolosa per qualunque governo, pur confermandosi il bancomat di Stato a cui nessuno è in grado di rinunciare. Almeno finché dura.
 

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