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Dal contratto al ricatto, in attesa del Riordino

27 maggio 2019 - 08:16

Tutto come da copione, nelle elezioni Europee: almeno in Italia, dove la Lega raddoppia i consensi e abbatte il 5 Stelle: ma il gioco guarda prima al Piemonte.

Scritto da Alessio Crisantemi
Dal contratto al ricatto, in attesa del Riordino

 

Dalle (5) Stelle alle stalle. Si potrebbe riassumere così il risultato elettorale ottenuto dal Movimento 5 Stelle alle elezioni Europee appena andate in archivio, dalle quali a uscire vincitore è Matteo Salvini (il quale aveva ridotto le elezioni comunitarie a un referendum su sé stesso) e la sua Lega, che supera abbondantemente il 30 percento. Raddoppiando il consenso che alle scorse politiche aveva toccato quota 17 percento, in un risultato che già allora aveva dell'incredibile. Ma ora non più. Anzi. Il successo leghista stavolta era più che atteso: sia dalla maggioranza che dall'opposizione. Al punto che ogni riforma, decisione e problematica del paese, negli ultimi mesi, era stata rimandata al dopo elezioni. E non certo per via del mero verdetto europeo, il quale, come noto, può incidere solo marginalmente sulle sorti di un singolo Stato membro (fermo restando, peraltro, che il nuovo Parlamento europeo sarà formalmente costituito, in via definitiva, soltanto nel prossimo autunno): quanto, piuttosto, per una valutazione del consenso degli italiani rispetto all'attuale maggioranza di governo, proprio in vista di un possibile ribaltamento degli equilibri: ma solo quelli relativi alla maggioranza.

Nonostante l'altra novità proveniente dalle urne sia rappresentata dal superamento da parte del Partito Democratico sul 5 Stelle - tornato a crescere fino al 22 percento dopo il traumatico 18 e rotti del 4 marzo scorso, riproponendosi come il secondo partito in Italia - il principale sconvolgimento si ha proprio nei numeri della maggioranza, dove si assiste a un vero e proprio ribaltone, che potrebbe portare il vice premier Salvini all'incasso. 
Anche se il governo esce formalmente intatto dal voto europeo, con gli italiani che, globalmente, continuano a dare fiducia alla compagine governativa, per la prima volta nella storia della nostra Repubblica i due partiti alla guida del paese invertono totalmente il loro peso elettorale. Con oltre dieci punti di stacco tra la Lega e il M5s, e con le parti invertite rispetto a un anno fa. Decisamente troppi per non avere conseguenze sulla tenuta dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Anche volendo credere alle rassicurazioni di Salvini di non puntare alla premiership o a qualche ministero in più, è comunque inevitabile che a dettare l'agenda, d'ora in poi, sarà la Lega: con il “capitano” che passerà all’incasso imponendo la sua linea su tutti i dossier fino ad oggi bloccati dalle divergenze con l’alleato Luigi Di Maio. Affrettandosi fin da subito a dire: “Ora basta con i no” sul programma di governo. Dalla Tav all’autonomia delle Regioni del Nord (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna), dalla flat tax al decreto sicurezza bis fino al decreto crescita e allo sblocca cantieri. Tra i punti in sospeso, tuttavia, c'è anche la riforma del gioco e quell'atteso Riordino annunciato dall'Esecutivo ormai quasi un anno fa – attraverso il decreto Dignità – e mai attuato, né tanto meno discusso. Anche se la delega ai giochi è stata appena assegnata a un sottosegretario pentastellato, va da sé che la Lega potrebbe iniziare a dire la propria anche su questo fronte, se non altro spronando l'Esecutivo – anche qui – verso una soluzione. Anche se la parte “verde” del governo fino ad oggi si è guardata bene dall'esprimere giudizi rispetto al mercato del gioco pubblico, delegando completamente la materia all'alleato. Ma forse era soltanto una parte della strategia leghista in attesa delle Europee. E ora, quindi, è tutta un'altra storia. Se non altro perché a interessare a tutti è l'esigenza di racimolare quattrini in vista della prossima manovra finanziaria che rappresenta il prossimo scoglio per l'Esecutivo: e se vorranno tirar fuori qualcosa in più dal settore, occorrerà prima risolvere i guai causati dai precedenti governi e dal lassismo degli ultimi mesi e anni. Partendo proprio dalla Questione Territoriale, che tiene bloccata un'intera industria ma anche lo stesso Stato, il quale non è in grado di emanare le gare pubbliche per il rinnovo delle concessionari a causa delle diverse leggi regionali che intervengono in maniera difforme sul territorio
Su questo fronte è interessante analizzare l'altro risultato elettorale dell'ultima ora: ovvero, quello proveniente dal Piemonte, dove a trionfare è il forzista Alberto Cirio contro il governatore storico del Pd, Sergio Chiamparino. Una vittoria schiacciante, netta e anche questa praticamente scontata, e in piccola parte dovuta anche alle leggi adottate dalla Regione contro il gioco pubblico, che hanno finito col compromettere non soltanto gli addetti ai lavori del comparto, ma anche quelli del cosiddetto indotto, rappresentato da esercenti e commercianti, i quali si sono visti schiacciati da decisioni politiche senza sostanza, che la vecchia guardia del Pd non ha mai saputo sovvertire, anche di fronte all'evidente sterilità (se non addirittura di fronte all'evidente etorogenesi dei fini), perché preoccupata di perdere anche il minimo consenso rimasto in piedi nel proprio elettorato, per il semplice rischio di poter essere attaccata dalle opposizioni in caso di un apparente passo indietro. Salvo poi arrivare al punto di perdere voi anche tra quei lavoratori che magari avrebbero tenuto fede al Partito democratico, prima di ritrovarsi senza lavoro a causa delle politiche da esso stesso adottate. Ora il Piemonte ha la possibilità di riscrivere la storia del gioco pubblico, sotto la guida di un liberale che già in passato si era schierato apertamente contro la linea “piddina” adottata sui giochi, denunciando il fatto di creare danni ingiustificati alle imprese, senza dare benefici alla comunità. E chissà che il vento di cambiamento che inizia oggi a soffiare dal Piemonte non possa influenzare anche le scelte del governo centrale, ora a matrice leghista, notoriamente più attenta alle imprese rispetto a quella pentastellata.
Quello che è certo è che ora il capitano Salvini non ha nulla da perdere e, forse, ha tutto da guadagnare, avendo a disposizione anche un’alternativa, cioè quella di tornare al voto anticipato in coalizione con Forza Italia (ora al 10 percento) e Fratelli d’Italia (al 6) e vincere le elezioni con un risultato che sfiorerebbe la maggioranza assoluta. Anche se in molto iniziano a temere il possibile effetto declino, già vissuto da un altro Matteo precedentemente salito a Palazzo Chigi, che sembra seguire inevitabilmente ogni successo elettorale, quando si è raggiunto il culmine. Soprattutto perché, al di là dei proclami, la situazione italiana rimane complessa e difficile da governare, per tutti. Quello che è certo, tuttavia, è che la ricetta a Stelle non ha funzionato: o, comunque, non è piaciuta più di tanto agli italiani. E tra i punti fermi del Movimento c'è sempre stata la lotta al mercato del gioco: la quel, evidentemente, aiuta a riempire i palinsesti, ma non paga. Mai. Chiedetelo al Pd: in Piemonte, e non solo. Oppure anche al 5 Stelle, che forse oggi ha altri problemi di cui preoccuparsi.
 

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