skin

Gioco pubblico: prove tecniche di normalità

24 giugno 2019 - 09:16

L'industria del gioco continua ad essere vista in modo critico, superficiale, anomalo: colpa anche dei suoi componenti: ma qualcosa, forse, sta finalmente cambiando.

Scritto da Anna Maria Rengo
Gioco pubblico: prove tecniche di normalità

“Penso che il solo fatto di dover chiarire il concetto di gioco legale rappresenti, se non un fallimento, ma è un’anomalia. Il gioco pubblico non può essere illegale. Questo già la dice lunga sulla percezione che dobbiamo combattere”. Sono le parole con cui il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, è intervenuto all’Assemblea pubblica “Una riforma condivisa nell’interesse del Paese”, di qualche giorno fa. Evidenziando l'anomalia alla base di tutti i problemi del gioco pubblico, che risiede cioè nella percezione distorta che ha l'opinione pubblica rispetto alla realtà di un comparto. Parole che fanno riflettere (o, almeno, così vorrebbe la logica, oltre alla prassi politica di un tempo), ma non a tutti. Non quella parte di governo (e Parlamento) che continua ostinatamente a scagliarsi contro il settore, come se rappresentasse il peggiore dei mali per la comunità e per il paese.

L'indignazione dei parlamentari del Movimento 5 Stelle per la partecipazione della presidentesse della Commissione finanze della Camera, Carla Ruocco, ne è una chiara dimostrazione. Proprio come se si stesse parlando un'attività illecita, appunto: tornando al doveroso distinguo del leader degli industriali. Nonostante lo stesso Boccia racconti di provare sentimenti analoghi nel sentir parlare di “industria sostenibile”, non volendo neanche immaginare un'industria che non possa essere ritenuta tale, la situazione del comparto del gioco è senz'altro peggiore rispetto a quella di qualunque altro settore dell'economia nazionale. Qui, in effetti, non si tratta del “solito” male italiano, stigmatizzato al meglio da Cesare Zavattini quando scriveva di voler vivere “In un paese in cui buongiorno voglia dire soltanto buongiorno”, ma di qualcosa di molto peggio e, ahinoi, ancor più radicato di ogni malcostume italiano: qualcosa legato a un pregiudizio atavico, a un perbenismo innato e a un ideologismo ipocrita, che ci portiamo dietro da tempo, senza mai riuscire a mettere in discussione le proprie convinzioni, misurandole con la realtà. Pur avendo a disposizione, ormai, non solo una molteplicità di dati e di studi, ma anche la storicità di un settore che ormai opera da più di 15 anni, fornendo quindi una base di studio ormai particolarmente ampia e idonea a qualunque approfondimento e analisi. 
L'ultimo studio realizzato sull'industria del gaming in Italia (e non solo) è quello presentato in questi giorni da Deloitte e il Centro Arcelli per gli Studi Monetari e Finanziari dell’Università Luiss Guido Carli (Casmef), relativo all'online, in cui il comparto italiano viene misurato e analizzato in comparazione agli altri mercati esteri. Fornendo altri dati interessanti e (teoricamente) utili a fornire indicazioni e spunti interessanti alla politica e alle istituzioni chiamate a governare tali mercati e i fenomeni ad essi legati. Oltre ad osservare, banalmente, che il mercato italiano non rappresenta il più grande in Europa, come spesso si vorrebbe far credere (il gaming online del nostro paese è appena un quinto rispetto a quello britannico), confrontando le ultime analisi alle tante precedenti e più generali si potrebbe ricavare come il segmento telematico rappresenti oggi l'unico in crescita tra quelli del gioco pubblico e quello più diffuso tra i giovani, evidenziando uno spostamento delle preferenze e delle attitudini nella nostra società verso le nuove tecnologie e, di conseguenza, verso le nuove forme di gioco, a scapito di quelle più tradizionali. Eppure, nonostante questo, le principali leggi e restrizioni adottate dai nostri governi e dai legislatori, centrale e locale, continuano ad occuparsi esclusivamente del gioco terrestre. Proponendo limiti, distanze, chiusure, controlli remoti e identificazione dei giocatori (o, almeno, il riconoscimento della maggiore età), che a livello intellettuale possono pure apparire sensati o trovare comunque giustificazione, pur rimanendo palesemente sterili, se non del tutto inutili, valutati in base alla realtà dei fatti e all'evidenza dei numeri e degli studi scientifici. Ma tant'è.
Del resto, non si tratta certo dell'unica anomalia che contraddistingue il comparto del gioco pubblico. Anzi. Analizzando il settore con un minimo di attenzione, emergono chiaramente una moltitudine di situazioni anomale e, spesso, addirittura surreali. Si pensi ad esempio alla frammentazione e alla separazione interna che esiste nella filiera: altra caratteristica, questa, senz'altro diffusa nel nostro paese e che accomuna ancora una volta tanti settori dell'economia, ma che trova nel gioco pubblico, ancora una volta, una delle sue massime espressioni. Altro aspetto che non è affatto sfuggito al leader di Confindustria, il quale ha sottolineato la necessità di “fare squadra”, ricordando quanto sia “necessaria una riforma condivisa”, e quanto sia “importante anche la tempistica entro cui farla”. Invitando gli addetti ai lavori e la politica a “trasformare la confusione in coerenza e fiducia. Mettere al centro un fine comune, che è il lavoro e l’occupazione. Se vogliamo cercare di capire come questo settore può contribuire alla ricchezza del Paese, ad un incremento occupazionale, c’è un problema di linguaggio, metodo e merito. Non bisogna individuare le colpe, ma costruire un percorso”. Parole sante, verrebbe da dire. Con l'auspicio che possano anche essere messe in pratica, un giorno o l'altro.
Di buono, va detto, c'è già il semplice fatto che la stessa Confindustria, attraverso la Federazione Sistema Gioco Italia, ha mosso un primo passo chiamando all'adunata le principali organizzazioni che rappresentano la filiera, invitando alla propria Assemblea pubblica anche Confesercenti e Confcommercio, in un incontro organizzato “per permettere alle rappresentanze di confrontarsi con le istituzioni sullo stato del settore del gioco legale e sul suo necessario riordino nell’interesse dei consumatori, delle istituzioni, degli operatori e delle imprese”. Un evento che, nel settore, ha qualcosa di straordinario, se non fosse così maledettamente normale, addirittura “scontato”, in qualunque altro comparto. E nonostante l'evidente tardività con qui la filiera sembra mostrarsi matura e disponibile a un dialogo e confronto aperto, a tutti i livelli e tra tutti i soggetti, è pur sempre un (nuovo) inizio. Che rappresenta una prima prova concreta non solo di dialogo e di confronto, ma di normalità. La principale caratteristica che continua a mancare a questo settore e il primo obiettivo da dover perseguire, a tutti i livelli.

Articoli correlati