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Sicurezza, concretezza e populismo penale

01 luglio 2019 - 09:15

Nell'esaltazione del populismo, la realtà percepita domina sulla realtà: ma primo o poi diventa necessaria la concretezza.

Scritto da Alessio Crisantemi
Sicurezza, concretezza e populismo penale

Negli ultimi anni, una delle questioni più gettonate da tutte le forze politiche (anche se più efficacemente implementata dall'attuale Esecutivo) è quella relativa alla sicurezza, nel senso più ampio e generale del termine: dalla normativa stradale (con l’inasprimento delle pene già deciso dal governo di centro-sinistra) a quella sull’autodifesa (con la larga tolleranza decisa da questo governo) fino a quella sulle manifestazioni di piazza (duramente trattata dal Ministro degli interni). Un tema sul quale, in tutte le possibili declinazioni, si è sempre registrato un consenso popolare sorprendente. Perché alimentato – come scrive Nadia Urbinati sul Corriere della Sera - usando sapientemente l’emozione della paura e che si concretizza nella richiesta (e nella proposta) di soluzioni immediate e tecnicamente efficaci, anche a costo di forzare i limiti al potere esecutivo.

Chi meglio tiene in mano una risposta dura conquista il favore dell’audience: che si traduce in un mandato largo (sempre più largo a giudicare dal Decreto sicurezza bis) agli organi governativi più direttamente responsabili della repressione. Un fenomeno che, nella letteratura politica, viene identificato come: “Penal populism”, populismo che si serve del codice penale, come lo ha definito Anthony Bottoms nel 1995. Collegando l'aggettivo “populista” al sostantivo “punitività” (punitiveness, in inglese) per indicare quella propensione dei governi populisti a trasformare questioni di disagio sociale in questioni di “law and order”. La strategia della risposta operativa (efficacia nella repressione) mette a tacere la politica della prevenzione, perseguita dalla democrazia dei partiti nell’era dello stato sociale. Per un vero e proprio paradosso politico, in virtù del quale l'esaltazione di un non-problema, oltre a diventare emergenza nazionale, riesce addirittura a trasformarsi, agli occhi dell'opinione pubblica, in una sorta di elogio delle concretezza. Pur trattandosi, molto spesso, di soluzioni sterili, quando non inutili, se non addirittura dannose. In ogni caso, non urgenti nella realtà, ma assolutamente prioritarie in quella percepita: una specie di “realtà virtuale” in cui sembra essere proiettata la maggioranza della popolazione mondiale.

In Italia, il populismo penale trova molte applicazioni al giorno d'oggi. Una delle più evidenti e attuali è rappresentata senz'altro dal gioco pubblico, facilmente catalogato come autentica “piaga sociale” e messo sotto accusa, e quasi al bando, con uno dei primissimi provvedimento del governo gialloverde rappresentato dal celebre decreto Dignità, che ha imposto uno scellerato divieto di pubblicità talmente punitivo e insensato da costringere l'Autorità garante delle Comunicazioni a ridiscuterne il perimetro, sulla base di mere considerazioni di carattere giuridico e costituzionale: dalla coerenza normativa con il diritto nazionale e comunitario, ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, al diritto di impresa. Ma anche in nome di quella stessa sicurezza che il governo vorrebbe garantire e tutelare, tenendo conto dei disagi in termini di ordine pubblico che possono essere generati da un oscuramente totale dell'offerta di gioco di Stato, in un Paese (e un comparto) in cui è ancora largamente diffusa l'illegalità.
Nonostante il ricorso alla mannaia dell'Esecutivo induca nell'opinione pubblica segnali di forza e di concretezza, in realtà questo tipo di (presunte) soluzioni si rivelano generalmente fumose, quando non addirittura semi-inapplicabili. Come nel caso del decreto Dignità, appunto, ma non solo in quello. Ovvero, quanto di più distante possa esserci rispetto alla concretezza.
Eppure non si può fare a meno di notare come lo stesso il governo (o, almeno, una parte di esso) sappia essere decisamente concreto, quando vuole. Badando alla sostanza e non all'apparenza, se (ritenuto) necessario. Si legga ad esempio l'intervista rilasciata al Corriere dal Vice ministro all'Economia, Massimo Garavaglia, a proposito dell'Ilva e della tanto discussa questione dell'immunità da concedere (ovvero, mantenere) ai vertici aziendali per evitarne la fuga che significherebbe l'interruzione della produzione. “Con il primo provvedimento utile, se serve, si adegua la norma. Mica possiamo far chiudere l’Ilva”, dice Garavaglia. Sic et simpliciter, senza se e senza ma. “Gli accordi presi vanno mantenuti”, spiega. E anche se il Movimento 5 Stelle, attraverso il vice premier Luigi Di Maio, ha detto che “non accetterà ricatti” sulla grande acciaieria di Taranto, il vice ministro all'Economia replica in maniera chiara e limpida ricordando che “Nella pubblica amministrazione c’è un principio consolidato che è quello della continuità amministrativa. Per cui, se sono stati presi degli accordi, questi vanno mantenuti. Altrimenti ne va della credibilità dell’intero sistema”. In un esercizio di pragmatismo che ricorda ben altri paesi e contesti politici o economici. Eppure, tant'è. Peccato però che lo stesso metro non venga applicato anche nei confronti del gioco pubblico. Dove ci sono, anche qui, impegni presi dalla pubblica amministrazione, tenendo conto delle concessioni rilasciate dallo Stato ad imprese private, oltre ad esserci un discorso di continuità erariale e non solo quella occupazionale e amministrativa. E una questione di sicurezza tutt'altro che banale che non dovrebbe sfuggire a un governo che ha fatto propria della sicurezza la sua bandiera. Senza contare, per giunta, che sul tema del gioco, a differenza delle acciaierie di Taranto, si hanno sì possibili disagi di carattere sociale e sanitario, ma anche molto limitati. E, soprattutto, non è a rischio la vita delle persone, come avviene invece nelle zone delle acciaierie pugliesi. Eppure, di fronte a quello scenario così critico e complesso, il viceministro non ha il minimo dubbio sull'applicare fino in fondo la legge e i principi di continuità amministrativa. Perché non farlo anche nel gioco, dove sarebbe tutto molto più semplice e indolore?

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