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Illegalità, illiberalità, indistinguibilità: l’anti-Rivoluzione italiana del gioco

29 luglio 2019 - 07:25

Nel mese in cui si celebra l’anniversario della rivoluzione francese, l’industria italiana del gioco pubblico vive gli effetti di quella che si può definire l’anti-rivoluzione del settore.

Scritto da Anna Maria Rengo
Illegalità, illiberalità, indistinguibilità: l’anti-Rivoluzione italiana del gioco

Cos’altro dovrà accadere per convincere il governo a intervenire, in maniera seria, concreta e definitiva, con una riforma complessiva del mercato del gioco?

Tanti sono, ormai, i messaggi di “warning” (spesso anche veri e propri Sos) lanciati da diversi soggetti istituzionali che palesano l’esigenza di una revisione delle norme sui giochi; richiamando la vecchia Intesa siglata da precedente Esecutivo in Conferenza Unificata o il più recente Riordino ipotizzato da quello attuale.
 
Due piani che non hanno mai trovato nessun tipo di attuazione, seppur con la differenza, non banale, che mentre nel primo caso si ha a che fare con un accordo reale, concreto e ben definito, condiviso anche con Regioni ed Enti locali, nel secondo si tratta soltanto di pura immaginazione del Legislatore o, peggio ancora, di una mera definizione: con quella ipotesi di “Riordino generale” mai declinata in nessun modo e a quanto pare neppure pensata.
 
Qualunque sia la soluzione da ritenere ideale, però, l’importante è fare presto. E su questo sembrano essere tutti d’accordo.
 
Governo a parte, evidentemente, visto che sul punto continua a non esprimersi. Salvo qualche sporadica e sempre vaga dichiarazione per lo più dovuta a sollecitazioni interne al Parlamento o da parte dei media.
 
Eppure, dicevamo, a chiedere di intervenire sono ormai in molti, anche tra le Istituzioni. Si pensi al parere del Consiglio di Stato di qualche mese fa il quale sollecitava l’adozione di una riforma che potesse consentire l’emanazione dei bandi di gara per le concessioni al momento impossibile da realizzare, per una grave anomalia che mal si concilia anche con le norme europee, di cui qualcuno prima o poi verrà a chiedere conto.
 
Ma si pensi anche alle diverse pronunce arrivate dai tribunali amministrativi regionali che invocano una linea generale di matrice governativa per risolvere l’ormai insostenibile Questione Territoriale, come de resto auspicato anche dalle stesse regioni o dai comuni che sul gioco non sanno più che pesci pigliare.
 
Singolare, poi, come a richiamare la necessità di un Riordino de comparto (legittimando peraltro anche la tanto vituperata Intesa voluta dall’ex sottosegretario ai giochi, Pier Paolo Baretta) sia stato anche l’attuale sottosegretario all’Economia Massimo Bitonci, in un intervento alla Camera nel quale rispondendo alle sollecitazioni del Partito Democratico sul tema, si sbilanciava nel promettere un disegno di legge ad hoc, che sembrava praticamente pronto, ma di cui non si è più avuta traccia.
 
L’ultimo allarme pervenuto in questi giorni è quello proveniente dall’Autorità Garante delle Comunicazioni nella segnalazione inviata al governo sul divieto di pubblicità che fa seguito alle indicazioni già introdotte attraverso la delibera di emanazione delle recenti Linee guida.
 
Secondo AgCom, “La complessità delle questioni emerse nel processo di consultazione rende auspicabile e urgente un intervento di riforma complessivo dell’intera materia che, proprio alla luce delle evidenze emerse, possa introdurre gli strumenti più idonei ed efficaci per contrastare il fenomeno della ludopatia nel rispetto della iniziativa economica privata in particolare laddove la stessa sia assentita e concessa dallo Stato”.
 
Senza una riforma del comparto, dunque, diventa ormai impossibile non soltanto continuare a operare per gli addetti ai lavori del settore (ma solo per quelli legali), ma diventa anche pressoché impossibile per le autorità effettuare le necessarie procedure di controllo ed eventuale sanzione previste dalle leggi vigenti, che risultano pressoché inapplicabili.
 
Oltre a creare rilevanti squilibri in termini di competitività all’interno della filiera, tra diversi territori geografici o segmenti economici. A farne le spese, in tutto questo caos, è proprio lo Stato e insieme ad esso i cittadini, visto che la sovrapposizione di queste situazioni critiche finisce col far riemergere un’offerta di gioco illegale sui territori (a causa delle restrizioni sui territori) per poi renderla indistinguibile da quella lecita attraverso il divieto totale di pubblicità.
 
Alla faccia delle tutela del giocatore, verrebbe da dire. Ed è bene che qualcuno glielo dica, al governo.

 

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