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Giochi e governo: il giusto approccio, nel modo sbagliato

19 agosto 2019 - 08:02

Nella settimana probabilmente conclusiva per il governo gialloverde tracciamo un bilancio delle politiche condotte sui giochi: tra alti (in teoria) e profondi bassi (nella pratica).

Scritto da Alessio Crisantemi
Giochi e governo: il giusto approccio, nel modo sbagliato

A un anno e mezzo dalla sua elezione, il governo costituito da Lega e Movimento 5 Stelle sembra essere arrivato a conclusione. Difficile tracciare un bilancio vero e proprio riguardo alle politiche condotte in questo breve (ma non troppo) periodo in materia di gioco pubblico, caratterizzato da un'autentica schizofrenia legislativa nei confronti del settore, al punto da farlo sembrare una specie di ossessione, almeno per una parte dell'Esecutivo. Di certo per quella “a 5 Stelle”, visto che la materia è subito diventata competenza dei grillini, come del resto annunciato fin dal principio della loro campagna elettorale.

Eppure, analizzando a fondo ciò che è stato fatto e scritto, si possono individuare dei punti di forza che, almeno in teoria, potrebbero fare da contraltare alle iniziative legislative più sterili e scomposte messe a segno dal governo forse in virtù di quell'esasperazione poc'anzi citata. Di certo le iniziative legislative più significative sono state due: in primis, il decreto Dignità, che ha contrassegnato il momento più basso mai toccato dal gioco pubblico (ma anche dal Legislatore, responsabile delle politiche di gestione del comparto), a causa soprattutto di quel divieto di pubblicità che ha sconvolto un'intera industria, anche a livello internazionale, riuscendo persino a stravolgere gli equilibri di altri settori strategici, come l'industria culturale e il mondo dello sport, a causa del divieto di sponsorizzazioni da parte delle società di gioco. L'altro provvedimento legislativo degno di nota è stata invece la Legge di Bilancio 2019, dove il gioco pubblico si è rivelato ancora una volta protagonista, non soltanto con un ulteriore aumento della tassazione sugli apparecchi, peraltro già disposto anche dal prevedente Dignità (a proposito di note dolenti), ma anche per via dell'introduzione di due norme “a sorpresa” con le quali il governo ha deciso di creare una nuova Lotteria (quella degli scontrini o dei corrispettivi, in vigore dal prossimo anno) e di ammodernare lo storico Totocalcio, proponendone una riforma che sarà realizzata nei mesi a venire.
Ebbene, nonostante gli strali e la propaganda proibizionista comunque perpetrata da quella parte di governo e i clamorosi errori evidentemente commessi in questi mesi (si legga la relazione dell'Autorità garante delle Comunicazioni per capire le assurdità, dal punto di vista normativo, realizzate attraverso il dignità, solo per citarne una), si possono in realtà individuare dei buoni propositi nelle azioni dell'Esecutivo uscente, figli di un approccio razionale e per tale ragione condivisibile, almeno in teoria. Proprio guardando le norme su Totocalcio e Lotteria dei corrispettivi, si può trarre una lettura positiva dell'azione politica perché figlia di un principio fondamentale, anche se del tutto subliminale: cioè quello di considerare il gioco pubblico una risorsa e non un “peso politico”, o peggio ancora un avversario, come invece accaduto col Dignità. E' evidente nell'utilizzo di un gioco, quindi una lotteria, come strumento di contrasto all'evasione fiscale e di contrasto all'illegalità, utilizzando l'elemento dell'intrattenimento (che in questo caso non viene confuso con l'azzardo, e chissà poi perché) per “educare” gli italiani alla legalità. Ma è altrettanto palpabile anche nell'annunciata riforma del Totocalcio, attraverso la quale il governo (seppure dall'altra parte, cioè quella della Lega, visto che tale norma è stata voluta dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti) intende creare e destinare nuovi profondi al mondo dello sport.
Chi ha buona memoria e sufficiente conoscenza del settore ricorderà, senza troppi sforzi, che una delle richieste e proposte più volte avanzate dalla stessa industria nei confronti della politica, già più di dieci anni fa, era stata quella di introdurre una tassa di scopo sul comparto, in modo da poter destinare una quota fissa dei proventi del gioco a scopi precisi, magari anche agli enti locali, seguendo il modello britannico delle cosiddette “good causes”. Ed è proprio quello che va a realizzare il governo attraverso la destinazione di scopo prevista per il nuovo Totocalcio, ma anche quello che ha già realizzato attraverso l'ultimo decreto di “misure urgenti in materia di personale delle fondazioni lirico sinfoniche, di sostegno del settore del cinema e audiovisivo e finanziamento delle attività del Ministero per i beni e le attività culturali e per lo svolgimento della manifestazione Uefa Euro 2020 ”, il cosiddetto Dl Mibac, con il quale viene destinata una parte dei proventi del Gioco del Lotto al Ministero dei Beni culturali. Introducendo, di fatto, una (ulteriore) tassazione di scopo. Pur senza dirlo in questi termini, ma poco cambia. Per un approccio senz'altro corretto, in linea di principio: peccato che sia per ora unicamente limitato a questi comparti e segmenti del gioco e non adottato a livello generale.
Ma non è tutto. Non si può non notare, tra gli aspetti positivi, che lo stesso governo, sempre nel decreto Dignità, pur infilzano l'industria con una stoccata micidiale come quella del divieto di pubblicità, ha comunque previsto nella stessa legge anche un Riordino generale del comparto. Quell'attesa riforma, cioè, di cui si parla ormai da anni, senza mai trovarne applicazione. Divenendo ogni giorno vieppiù urgente e necessaria, anche per risolvere l'annosa Questione Territoriale che continua a creare instabilità a imprese e lavoratori, ma anche allo stesso paese, che oggi più che mai non si può certo permettere passi falsi dal punto di vista delle entrate erariali, come pure dell'occupazione. Senza contare i rischi di un ritorno all'illegalità e di un'economia sommersa come quella che deriva automaticamente da una scomparsa del gioco lecito. Inoltre vale la pena citare anche il fatto di aver assegnato la delega all'industria dei giochi a uno dei sottosegretari all'Economia, come accaduto sì in tutti gli ultimi governi, ma non per questo scontato: e, anzi, fino al giorno prima dell'incarico gran parte degli addetti ai lavori avrebbero scommesso sul fatto che la delega non sarebbe mai arrivata, vista la totale mancanza di disponibilità al confronto del governo sui giochi. Invece, alla fine ha prevalso il buon senso. Oppure la semplice realtà, con l'aiuto della situazione di emergenza creata dai provvedimenti prima elencati. Ma tant'è.
Provando ora a unire i puntini segnati dall'Esecutivo con questi vari provvedimenti isolati ed estemporanei in una lettura d'insieme delle politiche condotte sui giochi, si può individuare un cammino virtuoso da poter percorrere nei prossimi mesi e anni, per il raggiungimento della piena sostenibilità del settore. Tenendo conto che il governo si è formalmente impegnato a realizzare una riforma di Riordino generale del comparto e considerando anche la necessità/volontà di intervenire nuovamente sul tema delle pubblicità, dopo il ritorno sul pianeta Terra provocato dalle norme interpretative di AgCom su un decreto di fatto irrealizzabile, pensando anche alla necessità di mettere insieme le due nuove parziali riforme compiute su Totocalcio e Lotto al resto del gioco pubblico (per una inevitabile e necessaria esigenza di coerenza normativa (la mossa ideale da effettuare sarebbe quella di riscrivere le regole del gioco (utilizzando un semplice gioco di parole) applicando quegli stessi principi in parte già utilizzati, guardando cioè al settore come a una risorsa, non soltanto economica, e provando a dare un senso – quindi uno “scopo”, in tutti i sensi – a un'industria così ricca, delicata e complessa, della quale non si può fare a meno. A meno che non si voglia tornare nel Far West dell'illegalità. L'occasione è ghiotta e la soluzione è a portata di mano: per il governo attuale o per qualunque altro Esecutivo che verrà costituito nei prossimi giorni: serve solo la volontà politica. E un grande senso di responsabilità. Proprio quello che sembra sfuggire il più delle volte all'attuale classe dirigente.
 

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