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Il coraggio di cambiare che serve a industria e politica

28 ottobre 2019 - 10:13

Il futuro del gioco è appeso a un filo: per puntare alla vera sostenibilità serve un cambio di passo da parte di industria e politica, che richiede coraggio.

Scritto da Alessio Crisantemi
Il coraggio di cambiare che serve a industria e politica

“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”, diceva Sir Winston Churcill. Uno che di strategia si intendeva non poco e che di cambiamenti ne ha visti e attuati molteplici; anche piuttosto significativi. Coerentemente con la sua filosofia e quella visione strenuamente ottimista del mondo, che lo portava a vedere “opportunità in ogni pericolo” e non pericoli in ogni opportunità. Proprio quello che serve, oggi, all'industria del gioco pubblico, per puntare alla tanto agognata sostenibilità che, ora come ora, potrebbe tradursi in una mera sopravvivenza e non più soltanto in una continuità o nella ricerca di una futura stabilità. Sì, perché guardando ciò che sta avvenendo in Italia (uno dei più grandi mercati del gioco a livello globale) e nel resto del mondo, con particolare riferimento ai paesi in cui il sistema del gioco è ormai radicato e tecnicamente consolidato, è evidente che per parlare di futuro bisogna intervenire sul presente, e alla svelta. Laddove non è addirittura troppo tardi. Prendendo in prestito le parole e le idee di un grande stratega e di un politico di elevata statura (caratteristiche di cui si sente sempre più la mancanza, e non solo in Italia) qual è stato l'ex primo ministro britannico, il messaggio che ne può ricavare l'industria del gaming è che, se vorrà garantirsi un futuro, dovrà per forza cambiare. E alla svelta. 

Come è emerso chiaramente nei giorni scorsi da Bruxelles, dove è andato in scena il Responsability in Gaming Europe 2019 (a cui aderisce anche questa testata): la due giorni dedicata al gioco responsabile che mette insieme industria, politica, regolatori e accademia, nella ricerca comune di idee, proposte e soluzioni per un approccio corretto e sostenibile nei confronti del gaming. Un evento che ha reso ancora più evidente quanto sia urgente e necessario un cambiamento, con gli addetti ai lavori chiamati a fare un passo avanti, per fare “qualcosa in più”: assumendosi le proprie responsabilità e attivandosi in senso concreto per sovvertire la situazione che li vede oggi al centro di un vortice e appesi a un filo che si fa sempre più sottile.
 
A cambiare, però, dovrà essere anche l'approccio della politica e dei legislatori nei confronti di questo particolare e delicatissimo mercato, altamente strategico per ogni paese, sia da un punto di vista economico che della tutela della legalità, ma comunque assai scomodo. Contro il quale finiscono tutti col prendere le distanze, prima o poi. Sull'onda del dilagante populismo e del progressivo svuotamento dei contenuti della politica, che è finito col portare il tema del gioco in prima pagina. Come se applicare restrizioni contro il gioco legale volesse dire preoccuparsi veramente della salute dei cittadini: soprattutto se, proprio come avviene in Italia, si introducono misure restrittive che impattano unicamente sulle imprese legali e sull'offerta di Stato, ma senza introdurre misure di formazione, informazione e prevenzione che sarebbero, al contrario, molto più efficaci, poiché non avrebbero – al contrario delle restrizioni – l'effetto collaterale di andare ad alimentare l'illegalità. Puntando veramente a educare i consumatori disincentivandoli al consumo di azzardo. Cosa che invece non avviene introducendo delle mere misure interdittive nei confronti del gioco legale. Peggio ancora se, come avviene nel nostro paese, i governi propongono restrizioni, accompagnate da aumenti della pressione fiscale sulla filiera che, oltre a rendere più competitiva l'offerta di gioco illecita rispetto a quella di Stato, impongono anche allo Stato stesso una forte dipendenza di natura economica da quel tipo di proventi, visto che vengono messi a copertura di ogni manovra.
 
Ecco quindi che il vero cambiamento dovrebbe arrivare prima di tutto da parte della politica, che dovrebbe smetterla di utilizzare il gioco come un bancomat, invece di considerarlo un'industria a tutti gli effetti e un fenomeno sociale che merita attenzione e dedizione alla pari degli altri segmenti dell'economia con impatto diretto sulla popolazione. In Italia, dove questi aspetti si sentono probabilmente in misura maggiore, un avvertimento importante che la politica non dovrebbe ignorare arriva dal verdetto delle elezioni regionali in Umbria, dove la coalizione di governo è stata pesantemente sconfitta, con la battaglia senza quartiere condotta al gioco pubblico da Pd e 5 Stelle che ha senza dubbio pesato in termini di consensi, provocando una notevole perdita di voti da parte di chi deve salvare il proprio posto di lavoro, che si unisce ai voti persi da quelli che, invece, non risultano convinti da promesse “leggere” e impalpabili come quella di una guerra al gioco per mostrare vicinanza ai cittadini e preoccupazione per la loro salute. Quando i problemi della gente sono ben altri. E di certo non risolvibili con slogan facili né tanto meno con politiche proibizioniste. Anzi. Soprattutto se passano per aumenti della tassazione mascherati da politiche di disincentivo ai consumi, come quelli che riguardano il gioco, che hanno il solo effetto di compromettere un'industria e i posti di lavoro da essa garantiti, nel totale disinteresse dell'opinione pubblica.
C'è quindi bisogno di un reset generale, da tutte le parti, e di un ripensamento delle strategie, politiche e imprenditoriali, riguardo alla gestione dei giochi. Con le imprese chiamate sempre più a fare la propria parte, dimostrando una piena maturità e una vera presa di coscienza della responsabilità sociale, che rappresenta ormai un tratto distintivo nell'industria del futuro.
Del resto, diceva lo stesso Churcill: “Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta”. E oggi più che mai, chi si ferma è perduto.

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